Può esistere un’istruzione meritocratica? “Meritiamo” di saperlo

di Greta Bellelli

L’istituzione del nuovo Ministero dell’istruzione e del merito ha acceso un dibattito nell’opinione pubblica del paese. Se, in ambito sociale e culturale, in generale, la meritocrazia è un concetto condiviso e accettato, una politica meritocratica associata all’istruzione non lo è altrettanto.

Molti intellettuali e giornalisti hanno assunto una posizione contraria alla scelta del governo, come si legge in titoli espliciti come “Istruzione e merito: sono allibito dalla disinvoltura di chi giura sulla Costituzione” (di Paolo Farina), in cui l’art. 3 viene citato in relazione anche alla scuola.

La nuova denominazione ministeriale viene accusata di ambiguità e anticostituzionalità. Tra i riferimenti più citati dai critici della riforma troviamo la definizione di “educare” della Treccani, il già citato art. 3 e l’art. 34 della Costituzione, il discorso di papa Francesco tenuto a Genova il 27 maggio 2017 e le coscienziose parole di Don Milani (“Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti eguali tra disuguali”).

Secondo queste posizioni, il merito valorizza il meritevole, ma allo stesso tempo condanna chi non lo è stato abbastanza come colpevole, senza che venga analizzata la complessità della persona: il contesto sociale e culturale in cui è nato e cresciuto, il suo stile di apprendimento, la sua autostima… Anche i pedagogisti sono contro la meritocrazia nella scuola, nella società e persino nel lavoro, perché mette in moto la competizione e non la collaborazione, con l’esito finale che ognuno lotta per sé contro gli altri. Questa competizione stimola la ricerca di un bene personale immediato, mentre si perde di vista un bene superiore che è il “bene comune”, dentro il quale c’è ampiamente compreso il bene personale. “Gli studi dimostrano che a scuola i bambini apprendono meglio collaborando e imparando dai propri errori e la competizione è inutile e deleteria” scrive il noto pedagogista Daniele Novara.

Senza dimenticare che il principio democratico su cui si fonda la scuola è rendere tutte le persone potenzialmente meritevoli. Tutte. Nessuna esclusa.

Se è ampiamente sostenuta l’idea secondo cui tutti gli individui debbano poter accedere, in partenza, alle stesse risorse, meno condivisa è, invece, l’idea che per garantire tale diritto sia necessario dare di più a chi ha meno sin dall’inizio. Banalmente, un professore che mette a disposizione più materiale per chi ha più difficoltà (economiche o cognitive non cambia) e modella il suo metodo di insegnamento in modo da dare la possibilità a tuttǝ di raggiungere lo stesso livello, applica una strategia non meritocratica, ma una strategia più attenta alla diversità, dunque più umana ed equa. 

Garantendo questa equità, lo stato svolge il suo compito, eliminando quelle disuguaglianze che non dipendono dagli individui e “rimuovendo quegli ostacoli” che ne impediscono il pieno sviluppo. Solo se lo stato opera in tale direzione è possibile successivamente parlare di merito, valutando solo a questo punto le scelte, l’impegno, l’audacia e la perseveranza del singolo individuo. 

Il merito è più che genuino se da esso non dipendono quelle stesse politiche che creano discriminazione, competizione, ingiustizia. 

Insomma, nella nostra vita quotidiana e sociale, con amici e in famiglia, è giusto “meritare” o “non meritare” qualcosa per come si agisce, per come ci si comporta; è giusto rendere merito ai grandi personaggi – scienziati, artisti, intellettuali, politici – che hanno lasciato un segno significativo e unico nella storia. Invece non possiamo non sottolineare come proprio il mondo politico, che sbandiera oggi la meritocrazia come strumento e valore, abbia fatto proprie, negli anni, tecniche e strategie distanti da questo concetto.

Tornando invece alla scuola noi, studenti di una scuola secondaria di secondo grado, ribadiamo con forza che la meritocrazia applicata all’istruzione è pericolosa. La competizione di per sé non è negativa; istruirsi per competere lo è. L’eccellenza non è negativa; istruirsi per eccellere lo è. Il consenso collettivo non è negativo; istruirsi per avere consenso collettivo lo è. 

Istruzione e meritocrazia sono due parole antitetiche come il bene e il male, il buono e il cattivo, il bello e il brutto: se c’è l’una, non c’è l’altra. Aut aut.

 

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