La RAI è uno dei canali di informazione più importanti del nostro paese e, sempre più spesso,si trova al centro di polemiche e dibattiti politici. Ma cosa sta succedendo?

di Emma Cappelletti 

Negli ultimi giorni si è accesa un’importante polemica che vede la Rai coinvolta.

Antonio Scurati, scrittore, giornalista nonché premio Strega, invitato al programma televisivo “Che sarà”, si è visto cancellare la sua presenza a meno di 24 ore dalla messa in onda della trasmissione. A denunciarlo è la presentatrice del programma Serena Bortone che, autorizzata dallo scrittore, legge in diretta il monologo previsto per la puntata. 

 “… La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.”

È così che si conclude il testo scritto in occasione del 25 aprile. Il monologo ripercorre alcune tappe fondamentali delle stragi nazifasciste per mano delle SS tedesche e dei fascisti italiani e sottolinea anche, in maniera piuttosto critica, il rapporto tra l’attuale Governo e la storia del fascismo.

In risposta alle accuse di censura, l’azienda ha dichiarato che l’intervento é stato cancellato per problemi burocratici ed economici, cercando di deviare la polemica su compensi non graditi allo scrittore. Tesi respinta con la pubblicazione di un’e-mail che dichiarava i motivi “editoriali”: il vero problema era il monologo.

Poche ore dopo, sul suo profilo Facebook, il presidente del consiglio Giorgia Meloni risponde alle accuse di censura, pubblicando l’intero testo dello scrittore. Dichiara che si tratta solo di una grande montatura e ritorna sulla tesi dell’impegno economico. 

Le forze di opposizione si sono subito schierate reclamando un’urgente riforma per quanto riguarda il servizio pubblico d’informazione. 

Nonostante il tentativo di abbassare i toni, il testo di Scurati ha avuto un effetto boomerang, riscuotendo così molta più attenzione da parte dei giornalisti e dell’opinione pubblica.

L’episodio, che risale alla viglia del 25 aprile, è solo la punta di un iceberg di numerose e opinabili “linee editoriali” che sembrano emergere in Rai nell’ultimo periodo. Scurati, infatti, non è l’unico a essere stato cancellato dalla programmazione: a Roberto Saviano è toccata la stessa sorte. Il noto scrittore e giornalista, infatti, si è visto annullare la sua serie (già approvata, montata e prodotta) intitolata “Insider”, che tratta di mafia. “Cosa vi aspettavate?” commenta duramente Saviano riguardo il caso Scurati. 

La puntata di Porta a Porta sull’aborto (con ben sette uomini e nessuna donna in studio!), l’annullamento parziale delle seguitissime repliche estive di Report (programma di inchieste) i cui contenuti verranno «concordati con l’azienda» e lo sciopero dei giornalisti sembrano turbare il clima in Rai. 

In particolare, quest’ultimo avvenimento ha fatto molto scalpore. Infatti, in seguito a una norma decisa dalla Commissione di vigilanza (che consente ai rappresentanti del Governo di parlare nei talk senza vincoli di tempo e senza contraddittorio), i giornalisti hanno manifestato il loro dissenso scioperando. Per un’informazione più libera, il 6 maggio molti dipendenti non si sono presentati al lavoro, causando problemi, seppur minimi, a trasmissioni e telegiornali.

Per capire e spiegare gli ambigui comportamenti di oggi, bisogna fare un passo indietro.

La Rai non è un’azienda del tutto autonoma: dal 2015, per una riforma del Governo Renzi, spetta ai partiti politici presenti in Parlamento nominare i principali dirigenti (e di conseguenza delineare le decisioni anche editoriali dell’azienda). Questo principio, noto come “lottizzazione”, è praticato da anni con la conseguenza che quasi tutti i settori della Rai dipendono da alcune forze politiche. 

A questo punto sorge spontanea una riflessione sul rapporto tra libera informazione e potere politico. 

I fatti del presente dovrebbero essere espressi nella maniera più imparziale possibile, concedendo ai cittadini la libertà di elaborare i propri giudizi e pensieri politici in modo autonomo e non indirizzato. 

Non spetta ai politici scrivere i quotidiani ma ai giornalisti che hanno un potere importante, quello delle parole. Sono proprio queste che possono cambiare la nostra percezione riguardo certi argomenti, magari omettendo un dettaglio ed evidenziandone un altro. 

Quando questi due ruoli si fondono, diventa impossibile guardare in modo oggettivo il presente e pertanto conoscere, in ogni sua sfaccettatura, la realtà che ci circonda rimanendo così nell’ignoranza. 

Il confine tra informazione oggettiva e propagandistica può essere sottile: spesso, infatti, basta qualche sfumatura per usare un avvenimento come rimando o a una specifica idea politica o, addirittura, arrivando a una strumentalizzazione.

Tutti devono avere la possibilità di confrontarsi, esporre le proprie idee (nei limiti della Costituzione) e avere il diritto di un’informazione di qualità. 

Almeno in una democrazia.

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