Una realtà silenziosa e ignorata. Violenza, stupro e un conflitto dimenticato. Perché il mondo finge di non vedere?
di Hajar Qacem
Negli ultimi mesi il Sudan sta vivendo un conflitto interno e un aspetto oscuro e poco discusso lo connota: la violenza e lo stupro sulle donne. Mentre il mondo parla della crisi di Chiara Ferragni, in questo stato africano si consumano drammi che dovrebbero indignarci e spingerci ad agire con emergenza.
Le radici del conflitto
Il conflitto nel Sudan, che ha portato a gravi violazioni dei diritti umani, migliaia di morti e milioni di sfollati interni e rifugiati nei paesi confinanti, ha radici profonde che risalgono a diversi anni fa. Le cause del conflitto sono complesse e riguardano questioni politiche, etniche, religiose ed economiche. Analizziamole.
Una delle principali cause del conflitto è rappresentata dalle profonde divisioni etniche e religiose presenti nel paese. Il Sudan è composto da diverse etnie, tra cui gli Arabi del Nord e le tribù africane del Sud, ciascuna con le proprie tradizioni, lingue e culture. Le tensioni tra queste diverse comunità hanno portato a una serie di scontri violenti nel corso degli anni.
Un altro fattore scatenante del conflitto è rappresentato dalle disuguaglianze socio-economiche e politiche. Durante il periodo coloniale, il Sudan è stato sottoposto al dominio britannico, che ha favorito l’élite araba del Nord a discapito delle tribù africane del Sud. Questa disparità di trattamento ha alimentato il risentimento e la marginalizzazione delle comunità africane, portando alla nascita di movimenti di resistenza armata.
La presenza di risorse naturali è un altro elemento che ha contribuito al conflitto. Il Sudan è ricco di risorse come petrolio, gas e minerali, ma il controllo e la gestione di queste risorse sono stati motivo di scontro tra il governo centrale e le comunità locali. Diversi gruppi ribelli nel Sud del Sudan lottano per ottenere una maggiore autonomia e una distribuzione più equa delle ricchezze del paese.
Anche la politica internazionale ha avuto un ruolo nella crescente tensione nel Sudan. Gli interessi geopolitici delle potenze straniere (USA e Francia), insieme alla competizione per il controllo delle risorse naturali, hanno destabilizzato ulteriormente il paese e alimentato il conflitto. Alcuni paesi confinanti hanno sostenuto i gruppi ribelli del Sud del Sudan, mentre altri hanno sostenuto il governo centrale, creando un terreno fertile per la guerra civile che è in corso.
Scontri armati tra esercito governativo sudanese e le milizie paramilitari Rapid Support Forces sono iniziati la mattina del 15 aprile 2023 dalle strade della capitale del Sudan, Khartoum. Nelle settimane precedenti, in diverse città del Paese si erano verificati atti di violenza. I tentativi di giungere a un cessate il fuoco sino ad ora sono tutti falliti. E così, mentre i morti nel conflitto aumentano, anche diarrea, colera, morbillo, dengue e malaria aggravano ulteriormente la precaria situazione umanitaria del Sudan, che l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha descritto come “inimmaginabile”.
Le violenze che diventano armi
L’aumento della violenza di genere nel Sudan si è trasformato in un grido di aiuto che continua a rimanere inascoltato, sebbene sia ampiamente documentato sui social media attraverso hashtag come #JusticeForSudanWomen e #EndGenderBasedViolence.
Queste piattaforme digitali sono diventate gli unici strumenti attraverso cui le donne sudanesi possono denunciare gli abusi e i soprusi subiti, ma la loro voce viene spesso ignorata o minimizzata.
Le donne sudanesi da decenni denunciano violenza domestica, mutilazioni genitali per motivi culturali e tradizionali e i matrimoni precoci forzati, che portano a gravidanze precoci, rischiose per la salute delle giovani donne e dei loro figli. A questo ora si sono aggiunti gli stupri di guerra. Durante i conflitti armati le donne diventano spesso vittime di violenze sessuali da parte di soldati, milizie e altre figure di potere. Queste violenze, utilizzate come arma per intimidire e controllare le comunità locali, lasciano cicatrici profonde e durature nelle vite delle vittime.
Le testimonianze sono ormai centinaia. Una 24enne ha detto di essere stata violentata da uomini armati nella sua abitazione davanti a sua madre. Una 19enne è stata rapita e violentata da quattro uomini che si sono alternati a stuprarla per tre giorni. Un’attivista per i diritti delle donne di 28 anni è stata sequestrata da uomini armati sulla soglia di casa sua e poi violentata per ore in una casa abbandonata. Nove su undici donne hanno affermato di essere state vittime di stupri di gruppo.
Come hanno reagito l’organizzazione Mondiale?
Le Forze di supporto rapido (RSF), il gruppo paramilitare a dominanza araba, e miliziani arabi alleati stanno continuando ad attuare stupri etnici sulle donne di etnia africana Masalit. Perché, come raccontano Reuteres e Al Jazeera, così faranno figli “meno neri”.
Mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità e altre organizzazioni internazionali si sono pronunciate sulla questione, sostenendo la necessità di agire immediatamente, gli sforzi concreti sono stati limitati. E l’ONU ha recentemente dichiarato chiusa la sua operazione nel paese. Eppure il conflitto non è stato risolto e la crisi umanitaria e i crimini di guerra continuano, come denunciato anche da Save the children che, insieme a UNICEF, sta cercando di aiutare i 6 milioni di bambini in fuga.
Gli aiuti stanziati per questo paese sono insufficienti. L’UNICEF ha bisogno di 840 milioni di dollari nel 2024 per sostenere e aumentare i servizi salvavita e di resilienza per quasi 8 milioni di bambini sudanesi più vulnerabili.
Come cittadini dobbiamo chiedere ai nostri governi di intervenire in modo più massiccio ed efficace. Solo se si tornerà alla pace, si potrà lavorare per un paese più libero, più civile e rispettoso dei diritti umani, in particolare del diritto alla vita, e capace di proteggere la dignità soprattutto delle frange più indifese della società civile, ossia le donne e i bambini.