Lavoratori sfruttati, diritti umani fondamentali violati, operai morti stremati dalle condizioni lavorative. Meno di quindici anni fa il Medio Oriente non aveva mai ospitato un evento sportivo di scala mondiale. Oggi invece è al centro della scena sportiva mondiale, dal calcio, al tennis, agli sport a motori.
di Jacopo Antoniazzi
“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Questo è il primo diritto a essere sancito nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. Probabilmente questa frase deve essere stata mal interpretata da Mohamed Bin Hammam e Michel Platini quando è stato deciso di assegnare al Qatar gli onori di ospitare il Mondiale di calcio 2022. Dalle indagini del 2019 erano emerse le condizioni dei lavoratori provenienti dal sud-est asiatico e dirette in Medio Oriente: erano tra le più degradanti e ingiuste al mondo. Sono state paragonate al lavoro forzato senza considerare che nell’emirato qatariota anche i diritti umani che noi consideriamo scontati sono spesso dimenticati.
Perché allora si è deciso di coinvolgere sempre di più tutto il Medio Oriente e non solo il Qatar nei tornei sportivi? Questa domanda, molto banale, se l’è posta anche la polizia svizzera, dal momento che fino al 2010 la macroregione asiatica non aveva mai organizzato un evento sportivo mondiale di rilievo. La risposta, altrettanto scontata, è stata il denaro.
Quanto emerge dai rapporti della polizia è infatti sorprendente: nel 2010 all’Eliseo si svolse una cena tra Sarkozy, Claude Guéant, Michel Platini e l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad. A tavola nacque un sistema win-win-win: il Qatar avrebbe infatti ceduto diversi pozzi petroliferi in suo possesso alla Francia che, successivamente, avrebbe pagato una tangente da più di due milioni di euro a Platini. Quest’ultimo, da membro esecutivo della FIFA, avrebbe garantito al Qatar la certezza di ospitare i mondiali del 2022.
Il risultato? Fu il mondiale più polemico nella storia. Il Qatar infatti non è uno Stato con una grande tradizione calcistica: su otto stadi sei sono stati costruiti appositamente per ospitare l’evento. Il problema in realtà non fu nella qualità dei nuovi edifici, ma nel come vennero costruiti. Da un’inchiesta del quotidiano Guardian, condotta nel febbraio 2022, è emerso che nei vari cantieri qatarioti sarebbero morti oltre seimilacinquecento operai, stroncati da quantità insostenibili di ore di lavoro in condizioni disumane e con temperature eccessive che in Qatar, nella stagione estiva, superano abbondantemente i quaranta gradi. Nello stesso articolo, alcuni operai che riuscirono a fuggire verso il Regno Unito, dichiararono che i colleghi non performanti o che si lamentavano venivano percossi o licenziati e tutti sono stati costretti a lavorare nonostante il lockdown per il Covid-19.
Il comitato organizzatore minimizza: solo trentasette morti per “cause naturali”. Secondo il Daily Mail, i capi delle imprese edili avrebbero volutamente fatto scattare gli allarmi antincendio poco prima delle ispezioni della FIFA, per evacuare i lavoratori ed evitare che si lamentassero o sporgessero denuncia. Amnesty International ha chiesto alla FIFA di pagare quattrocentoventi milioni di euro ai lavoratori abusati.
A complicare ulteriormente la situazione è arrivata una dichiarazione alla Tv tedesca Zdf dell’ex calciatore del Qatar e ambasciatore dei Mondiali Khalid Salma: ha ricordato che l’omosessualità in Qatar è illegale e l’ha definita una malattia mentale. Un’affermazione assurda che ha gettato scalpore. In aggiunta, secondo un report dell’ong Human Rights Watch, di recente si sono verificate violenze, abusi e arresti della polizia qatariota contro le persone LGBT.
Ciò che ora spaventa i tifosi è il possibile ripetersi di tutto questo: l’attuale presidente FIFA Gianni Infantino ha annunciato che l’Arabia Saudita sarà paese organizzatore dei Mondiali di calcio del 2034.
Ma tutto questo non avviene solo nel mondo del calcio.
Fa scalpore pensare che in Formula 1, fino al 2012, si correva una sola gara in Medio Oriente mentre oggi, solo dodici anni dopo, si corrono quattro gran premi su ventidue.E fa ancora più clamore pensare che nel 2022, durante il Gran Premio di Jeddah, in Arabia Saudita, gli Huthi, il gruppo estremista nella Guerra in Yemen, lanciarono un attacco missilistico contro un centro petrolifero distante tredici chilometri in linea d’aria dal circuito. Durante l’attacco morirono dieci persone ma, nonostante l’episodio avesse suscitato preoccupazioni per la sicurezza, il Gran Premio di Formula 1 si svolse regolarmente. Dopo le dovute consultazioni con le autorità locali e la FIA si decise che “The show must go on”, come cantavano i Queen. Per i soldi ai piloti? Per tutto l’indotto economico? Chissà…
Ma anche nel tennis ora funziona così. Nel Six Kings Slam, giocato a ottobre, Jannik Sinner ha guadagnato più di sei milioni di euro in seguito alla vittoria del torneo. Sei milioni per un torneo di due giorni, l’equivalente dei montepremi di Wimbledon e US Open.
Perché però questi atleti non rinunciano a giocare in luoghi in cui i diritti umani sono calpestati e che si trovano agli ultimi posti nella classifica dei Paesi che rispettano la Parità di genere?
Sembra sempre venir meno il primo diritto della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948…
Siamo forse tutti fratelli solo quando ci piace?