Di Greta Vaccari

di Jacopo Antoniazzi

Ah, la Luna…
Dall’antichità ad oggi, letterati e scienziati hanno amato e cercato di rappresentare in base alla loro sensibilità o deformazione professionale questo curioso e, nel contempo, enigmatico corpo celeste.
L’ultimo italiano a farne descrizione in forma poetica è stato Gabriele d’Annunzio nella celebre O Falce di Luna Calante, dove esplora il tema dell’amore e della passione, suggerendo che la Luna può per certi versi influenzare le emozioni degli uomini, oltre a suscitare sentimenti tanto intensi quanto profondi. Il connubio tra bellezza naturale ed esperienza emotiva rende la rappresentazione del satellite terrestre particolarmente coinvolgente e ricca di fascino. In particolare, risulta significativa la strofa in cui d’Annunzio, illustrando il modo in cui la Luna domina il cielo notturno, evidenzia come la sua luce argentea sia in grado non solo di illuminare, ma anche di creare un’atmosfera magica e mistica insieme. Una visione, questa, che evoca nel lettore meraviglia e ammirazione per la bellezza della natura e, più in generale, per il mistero dell’universo.
Di là di questo esempio relativamente vicino a noi, è stupefacente pensare che la prima opera letteraria in cui si parla in maniera concreta della Luna e della notte stellata, risale a Saffo, poetessa greca vissuta tra il 630 e il 570 a. C. In uno dei suoi frammenti più celebri, Tramontata è la Luna, oltre a quest’ultima, cita significativamente la costellazione invernale delle Pleiadi per donare al lettore una malinconica riflessione sul trascorrere del tempo (“ed io dormo sola”) e sul senso di solitudine che attanaglia l’amante privato dell’oggetto del suo desiderio.
Nella letteratura europea classica e medievale, inspiegabilmente, non è presente alcuna interiorizzazione della Luna: Virgilio, nell’Eneide e Dante, nel Paradiso si limitano a mero descrivere. Questo atteggiamento quasi pragmatico trova larga diffusione anche durante il Rinascimento: l’età di Ariosto e Galileo, accantonate le “macchie” del primo cielo, immortala la Luna come satellite della Terra, con tanto di crateri e catene montuose che ne increspano la superficie.
Un paio di secoli dopo, ci si imbatte nella Luna “romantica” di Leopardi, forse la più famosa in assoluto: il poeta recanatese è il primo nella storia della letteratura italiana a mettere per iscritto in chiave lirica i sentimenti e le emozioni che l’astro suscita in lui. Tuttavia, è bene rammentare che, nel corso della sua breva, ma intensa vita egli cambierà approccio: mentre, nella prima gioventù (fase del pessimismo storico), definirà la Luna
“graziosa” e “diletta”, oltre che “amica” e conforto nelle sere più tristi, con l’approdo al pessimismo cosmico, creerà una sorta di visione simbiotica con la Natura matrigna, avversa e indifferente alle sorti degli umani. Così nel Canto notturno di un Pastore errante dell’Asia.
Nel secolo scorso, precisamente nel 1969, alcuni letterati – tra questi, anche l’italiano Andrea Zanzotto – hanno parlato di Luna “violata” dall’allunaggio statunitense, che ha avuto il demerito di avere annullato la mistica distanza tra l’uomo e gli astri per il solo scopo di esaltare l’umano intelletto.

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