Seppur siano passati 158 anni dall’uscita del libro, ancora oggi veniamo attirati ed affascinati dal monologo interiore di un personaggio talmente realistico che ci porta a chiederci come mai le domande che quotidianamente ci poniamo siano così vicine a quelle di una persona del lontano ‘800 (che forse, a questo punto, così lontano non è)

di Isabella Posenato

“Memorie dal sottosuolo” è un’opera del 1864 scritta dall’autore russo Fëdor Dostoevskij (1821-1881) nella sua cantina, o meglio, nel suo sottosuolo. Il protagonista del libro, di cui non viene mai citato il nome, combatte una battaglia personale contro una società che ritiene mediocre e dalla quale si emargina. Poiché non segue i canoni della perfezione che caratterizzavano i protagonisti delle opere letterarie di quel periodo, si potrebbe addirittura classificarlo come un antieroe: una figura nuova e con diverse sfumature caratteriali, contraddistinta dalla malignità e dall’inadeguatezza nel vivere con gli altri.

La prima parte del romanzo (“Il sottosuolo”), è caratterizzata dall’introspezione del protagonista, un personaggio infelice, spregevole ed invidioso che vive rintanato nel suo misero appartamento nella periferia di Pietroburgo. Lo si può contraddistinguere per la sua schiettezza e il suo animo sadico e masochista che lo porta a trovare piacere nel far soffrire gli altri e sé stesso.
Ha una bassa considerazione della propria persona, infatti lui stesso pensa di non essere riuscito a diventare qualcuno nella vita.

“Io non solo non ho saputo diventare cattivo, ma non ha saputo diventare niente: né cattivo né buono, né furfante né onesto, né eroe né insetto”

Nonostante tutto, si consola autoconvincendosi che nel XIX secolo solo persone stupide e senza carattere siano destinate a diventare importanti.

Dopo aver spiegato, attraverso le sue riflessioni ed i suoi pensieri, come sia arrivato ad isolarsi da tutti, questa prima parte del romanzo si conclude con un quesito importante affiorato nella mente dell’uomo in seguito alla visione della caduta della neve al di fuori della sua tana: riusciremo mai ad essere totalmente onesti almeno con noi stessi?

“Ci sono cose nella memoria di un essere umano che egli non rivela a tutti, ma solo agli amici. Ci sono cose che egli non rivela neanche agli amici, ma solo a sé stesso, e in gran segreto. E infine ci sono cose che teme di rivelare perfino a sé stesso”

Per scoprirlo, il protagonista riporta alla memoria dei ricordi risalenti a 16 anni prima, quando lavorava come impiegato statale insieme a dei colleghi che pensava lo disprezzassero: ci troviamo così immersi nelle sue fissazioni, come ad esempio il credere di non essere ben visto o a causa del suo senso di superiorità o del fatto che provocava le persone fino all’estremo. Oltre a questo, l’uomo presenta un rapporto conflittuale con i suoi compagni di classe, che riesce a rivedere dopo anni autoinvitandosi ad una cena d’addio durante la quale, però, riesce a mettersi in ridicolo.

La stessa sera conosce una giovane prostituta, Liza, con la quale avvia una conversazione per poi prometterle di aiutarla in caso di bisogno, ma quando lei si presenta alla sua porta in cerca di riparo, la umilia tentando di compensare il senso di debolezza provato nel momento in cui le tese la mano: aver ferito una persona più debole di lui lo porta al massimo della nevrosi.

Il coraggio di guardarsi dentro per riportare a galla dei ricordi passati e le situazioni in cui si pone, ci aiuta a comprendere l’inadeguatezza del protagonista nel relazionarsi con gli altri e sé stesso. Ad oggi sappiamo che il tutto fu causato dalla sua nevrosi, nonostante il personaggio additasse la colpa al proprio caratteraccio: quindi sì, è possibile riuscire ad essere onesti con sé stessi, ma come dice il protagonista c’è bisogno di una grande consapevolezza e l’essere troppo consapevoli non può che arrecare dolore.

Si ritiene che il protagonista di “Memorie del sottosuolo” sia ispirato a Dostoevskij stesso. Alcune testimonianze giunte da conoscenti dello scrittore collegano il carattere dell’autore a quello del protagonista; per esempio, il critico Nikolaj Strakhov (1828-1896) scrisse:

“Dostoevskij è un uomo cattivo, invidioso e basso”

Questo il pensiero di un altro critico, Vissarion Belinskij (1811-1848):

“Jean-Jacques Rousseau mi fa pensare a Dostoevskij: è altrettanto invidioso e si crede altrettanto perseguitato”

Un’altra somiglianza la trovò Sigmund Freud (1856-1939), famoso psicoanalista, che analizzando le opere di Dostoevskij, riuscì a dedurre che anche l’autore soffrisse di nevrosi che si manifestava attraverso attacchi epilettici.

L’autore utilizza la metafora del sottosuolo per definire il carattere nascosto e contradditorio, che più avanti fu denominato da Sigmund Freud come ‘inconscio’, una parte presente in tutti noi esseri umani. Dostoevskij fu uno dei primi autori di quel periodo a dare una descrizione caratteriale dettagliata e veritiera dei suoi personaggi nei quali, sotto certi aspetti, ci si riesce anche a rispecchiare.

È un libro che dà ai lettori molto su cui riflettere e fa capire come l’uomo sia arrivato nel tempo ad avere una concezione sempre più vasta di sé stesso.

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