Il dialogo tra due studenti nel tentativo di rispondere a questa domanda.
Di Davide Bagnoli e Pietro Casari
DAVIDE: Noi siamo giovani, siamo esclusi dai luoghi di potere, dove i “grandi” prendono le decisioni per il nostro futuro. Da bambini, quando qualcosa non ci sta bene, urliamo, facciamo i dispetti ai nostri genitori, ci rifiutiamo di mangiare o di parlare. Ancora più piccoli, da neonati, quando abbiamo fame, piangiamo e strilliamo per farci nutrire, per far valere la nostra richiesta. Nell’essere umano è presente l’innata capacità di disturbare per farci ascoltare da chi non ci vuole sentire. Io penso che trasgredire sia, dunque, la più innata e primordiale modalità per dire; ma come è successo che, in un processo di maturazione del singolo e di civilizzazione della società, sia diventata una modalità così deprecabile per esprimere il proprio dissenso?
PIETRO: Se da piccolissimi il nostro lamento è continuo, la nostra crescita evidenzia un costante assoggettamento alle regole imposte dalla società, che siano queste del costume o del diritto. Questo perché, fin da neonati, veniamo educati da adulti che vogliono che diventiamo adulti come loro. Per questo più si cresce, più si ha difficoltà a capire ciò che è giusto o ciò che è sbagliato o a comprendere la trasgressione, in quanto la mente si assimila allo status quo, diventando spesso (non voglio generalizzare), garante ed essenza stessa dell’immobilismo. Da questo possiamo desumere che la società sia malvagia? Possiamo dedurne che il freno al progresso siano gli anziani? Sarebbe sbagliato e bisognerebbe connotare meglio il significato di progresso. Deduciamo però che la nostra essenza primordiale, i nostri sensi innati, vengono sostituiti dalla volontà della società che ci allontano dallo stato di natura, in cui possiamo sempre dire senza trasgredire. Ripeto: non è mio obiettivo criticare la società, ma pare ovvio che, a volte, per dire sia necessario trasgredire. E forse possiamo assumerne che trasgredire significhi progredire. Un dubbio rimane però: seppur assoggettati alla società non ne siamo prigionieri. Il nostro stato liberale è un patto tra i cittadini per garantire la conservazione dei nostri diritti, seppur rinunciando a parte della nostra libertà. Nella nostra condizione, per dire è sempre necessario trasgredire? E perciò: trasgredire è sempre dire?
DAVIDE: Se in un contesto di egemonia culturale e di totalitarismo trasgredire potrebbe essere l’unica opzione per trasmettere il proprio messaggio, all’interno di uno stato di matrice liberale come il nostro, questo non dovrebbe (almeno in linea teorica) essere l’unico metodo per dire. Eppure, ci troviamo in un paese in cui la politica si disinteressa dei giovani, essendo un bacino di voti poco numeroso e quindi scarsamente interessante, e tratta solo temi cari all’elettorato più anziano continuando, ad esempio, a parlare di pensioni, semplificando il discorso e rifiutando di parlare di lavoro giovanile. I rari momenti di dialogo tra istituzioni e giovani sono, spesso, farse a scopi meramente propagandistici. Più in generale, l’attuale sistema globale è un sistema pensato non per essere riformato, ma per perpetuare lo stato attuale e accrescere le disparità. Io ritengo dunque che, forse, al giorno d’oggi nella nostra condizione sia necessario trasgredire, ma è anche importante riflettere sulle varie possibilità della stessa trasgressione. Fino a che punto possiamo alzare l’asticella, prima che questa ci cada addosso?
PIETRO: Vera la riflessione sui totalitarismi, ma come espliciti tu la trasgressione si rende necessaria anche nel modello attualmente accettato di stato liberale occidentale: a volte è necessario trasgredire per dar voce alle nostre idee, e spesso possiamo notare quanto anche negli stati liberali, tra cui il nostro Paese, quella libertà tanto decantata dalle carte costituzionali sia invece oppressa. Per rispondere alla tua domanda credo sia utile comprendere quando qualcosa vacilla fino a cadere. Da un punto di vista fisico un oggetto cade quando perde il proprio sostegno. Così anche la trasgressione, seppur concetto ideale, cade quando è priva di fondamento. E quando la trasgressione cade questa assume il suo peggior connotato, il vandalismo, pratica idiota e fine a sé stessa. La trasgressione, se risultato di una profonda riflessione che la legittima e che la sostiene, è allora forse anche più necessaria e utile di cento leggi o scelte politiche. La trasgressione non ha limiti, dovuti a cavilli istituzionali o preoccupanti effetti sulle preferenze di voto: la trasgressione va oltre (come l’etimologia stessa della parola suggerisce, dal verbo latino transgredior), rompe i limiti e ne crea altri.
DAVIDE: Come hai detto tu, porre limiti alla trasgressione è intrinsecamente contraddittorio; chi ci prova, lo fa semplicemente per screditare certe azioni. Ma al contempo è necessario che la trasgressione sia legittimata per non scadere nel mero vandalismo. Se ci permettiamo di disturbare la vita delle persone, di creare disagio alla società, rovinare (o far finta di rovinare) opere inestimabili, è indispensabile avere delle solide motivazioni e basi ideologiche. È sbagliato, come succede in alcuni movimenti del Novecento, movimento fascista in primis, porre l’azione, l’impeto, prima del pensiero e della riflessione. La mancata consapevolezza nel proprio agire è ciò che ci porta ad atti di vandalismo, barbarie e violenza. Un caso che merita una maggior attenzione è quello di noi giovani che, data la nostra scarsa esperienza, non riusciamo a disporre di una sufficiente conoscenza del mondo. Dunque, non ci si può aspettare che gli atti di trasgressione dei giovani siano sempre accompagnati da una totale consapevolezza, anche se (è doveroso farlo notare) sono esistiti movimenti in gran parte giovanili, come il movimento No Global, che non solamente criticavano la società, ma proponevano una visione concreta per il futuro e un nuovo modello di sviluppo, caratteristica che (forse) manca ai movimenti attuali. La consapevolezza della propria azione e di quello in cui si crede è sicuramente un elemento essenziale del trasgredire, che lo differenzia dal vandalismo, dalla barbarie e dalla violenza. Ma sempre più spesso atti di trasgressione pienamente consapevoli vengono ridotti alle loro controparti, e dunque penso che la consapevolezza non manchi a coloro che protestano, ma ai reazionari. Come si può risolvere, dunque, questo paradosso in cui le azioni trasgressive, invece di aiutare gli inconsapevoli, polarizzano le opinioni?
PIETRO: È difficile trovare una soluzione valida, più che altro perché la polarizzazione delle opinioni è dovuta (secondo la mia opinione) ad una scarsa volontà anche solo di comprendere le motivazioni della protesta da parte del cittadino medio. È più semplice comprendere semplici discorsi, magari anche insensati ma ben esposti, che motivazioni articolate, perché queste portano a legittimare la trasgressione stessa. Per questo le costruzioni dialettiche reazionarie, essendo immediate e spacciate come semplici soluzioni (seppur, mi ripeto, spesso fallaci), tendono ad essere accolte meglio, a polarizzare e ad abbassare il livello del dibattito politico (sia tra i dirigenti che tra gli elettori). A termine di queste considerazioni possiamo assumere che forse, prima di parlare del valore di trasgressione, sia necessario comprendere il valore della cittadinanza. Nel nostro paese il cittadino (contrariamente a quanto dovrebbe essere) non si informa, non è minimamente interessato a come e chi guidi il paese e si limita a descrivere la classe dirigente come “corrotta” per giustificare il suo completo inattivismo. Se il cittadino non ha alcun interesse ad esserlo prima o poi perderà tutti i diritti che l’essere cittadino gli concede. Paradossalmente è più cittadino colui che infrange la legge per lottare contro l’ingiustizia quando lo fa, come abbiamo considerato, in modo giusto. Solo educando alla partecipazione, all’importanza dello Stato, garante della nostra libertà, forse riusciremo a risolvere questo scomodo paradosso.
Ricordiamo che queste sono solamente le opinioni di due ragazzi del blog, non ci aspettiamo che esse siano condivise da tutti; in tal caso, vi invitiamo ad esprimere le vostre nei commenti (sempre in maniera educata e civile).