Generale, rallenti 

di Andrea Annibaletti

Sentì ancora una volta voci intimorite dietro di sé. I soldati, una volta uno, una volta l’altro, tentavano: “Generale, rallenti”, Generale, rallenti”, “Generale, rallenti: in fondo c’è qualcuno che la cerca”.
Il generale allora bestemmiò, vaporando dalla bocca. Poi urlò a voce alta “Che cazzo sta succedendo!?”. La voce risuonò nello spiazzo, con abeti verde scuro a destra e sinistra. Il vapore dell’urlo.
“La cercano, stiamo rallentando”.
Il generale stava andando (effettivamente) a spron battuto.

Decise allora di voltarsi e di dirigersi verso la calca dell’esercito che s’aprì in una dritta autostrada. Nel silenzio, il passo degli stivali sull’erba quasi ghiacciata. Solista.
Arrivò dunque al termine della strada dove vide accasciato un uomo con fogli in una mano e penna nell’altra.


“Coshai!?”

Ah, Generale!” disse, cercando di guardarlo. “Ah, Generale…la…la prego, rallenti. Non credo di riuscire a…a starle dietro. Vede, lei solca questa terra come una nave tra le onde, ma guardi qui! La prego, Generale, guardi i miei piedi! Sono per metà imbrattati da questo fango melmoso. Per me la terra è un male. È una melma. Fatico. Non sono…lei va così veloce. Non crede che…non crede che il suo esercito possa essere…possa essere non adeguatamente preparato per un’andatura così rapida?”

Allora l’uomo accasciato versò alcune lacrime.
“Non credo di riuscire a spiegarle come mi sento realmente, signore…”

Poi, illuminandosi un poco in viso.
Ah! Ascolti questo. Le decanto una poesia per farmi comprendere, Generale. La prego, ascolti.”
Il Generale portò contemporaneamente indice e pollice di entrambe le mani in entrambe le orecchie. Allora l’ultimo uomo, incoraggiato dal fatto che il Generale si stesse sturando le orecchie, iniziò in tono grave:

“Ed è dunque giunto all’improvviso,
il momento in cui mi trovo accasciato
nel melmoso terreno freddo.
Io, che m’accorgo dell’enorme ferita,
invisibile.
Che così lancinante dolore dà,
da non permettermi che l’abbandoni.

Solo.

Solo, dunque, in questo meraviglioso campo speranzoso,
che solo me medesimo,
pare,
considera fredda rada steppa assassina.
Io, banalità comprensibile.
Che vedo il bel ceppo con cui risalir,
ma che come sbadato scambio per pungente mano nemica.
Sempre con questo squarcio al ventre,
che sangue non perde.
Mi lascio al dolce pianto,
immerso in incerta luce bieca,
io che forse vorrei non aver più tempo.
Come ogni dove, anche in questa utopica visione,
giunge infine il febbrile buio sordo.”

Detto ciò, l’uomo deglutì sonoramente, iniziando tra l’altro a battere i denti e restando in silenzio in attesa di un riscontro.

Il Generale lo fissò serio. Poi si voltò e ripercorse il viale tra i soldati. Risalita vertebrale.
Rimise ancora una volta pollici e indici nelle orecchie, dalle quali estrasse due batuffoli d’ovatta. Li gettò a terra.
Certa gente ti si attacca ai maroni. Se poi è immersa nella melma non ti permette neanche di andare avanti” disse fra sé, sprezzante.
Allora tirò su col naso e sputò contro una roccia.
Colpito” disse a bassa voce, tornando a camminare. Inesorabile, alla guida del suo esercito.

I soldati, mettendosi a posto gli elmi e le giacche, si guardarono in faccia tra loro. Una sensazione di sorpresa si diffuse fra le file. Si accorsero tutti di avere lo stesso viso. Migliaia di persone con lo stesso viso.
Anche il Generale e l’ultimo uomo.
Gli uccelli, volando alti nel cielo, videro (senza capire) un enorme viso in mezzo alla prateria.

Di Andrea Annibaletti

Amante del cervello e dei film labirintici. In quanto a scrittura, Baricco una spanna sopra gli altri. Provo a scrivere poesie.

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