della redazione di “Uno sguardo presente”
Il genocidio sistematico compiuto dal Terzo Reich è passato alla storia come il più orribile e terrificante complesso di crimini commessi contro il popolo ebraico all’interno della tormentata storia degli Ebrei in Europa. Ogni anno la storia della Shoah riecheggia nelle nostre orecchie durante la giornata dedicata alla Memoria.
Tuttavia la società dimentica in questa giornata le altre categorie di persone discriminate e che furono vittime dei crimini nazisti. Esattamente come dimentica le altre numerose, folli e irrazionali violenze ed ingiustizie di natura etnica accadute dopo la II guerra mondiale in diverse parti del mondo.
In questa “Settimana della Memoria” la Redazione cercherà di restituire dignità attraverso la memoria ad altre vittime di discriminazioni e abusi di origine etnica o religiosa, che rischiano altrimenti di essere ignorate; e lancerà un invito a “restare umani”, ad usare la memoria per agire nella propria vita come persone di pace, inclusive, accoglienti, solidali e capaci di non voltare la testa dall’altra parte. Per non restare indifferenti. Per non divenire inconsapevolmente complici.
La storia non ha insegnato nulla – (a cura di Hajar Qacem)
La storia è ricca di eventi che dovrebbero insegnarci importanti lezioni. Tuttavia, quando si guarda alla situazione attuale in diverse parti nel mondo, sembra che queste lezioni siano state completamente ignorate.
La Shoah, durante la quale sei milioni di ebrei furono sterminati, è stato uno degli episodi più oscuri e terrificanti nella storia umana. Il mondo ha visto le immagini dei campi di concentramento, i corpi emaciati e i sopravvissuti con gli occhi vuoti di chi ha visto l’inferno e ha perso tutto.
Si presumeva che quest’orribile esperienza avrebbe insegnato al mondo la mostruosità dei genocidi e a non ripetere mai più queste atrocità. Per questo furono create organizzazioni come le Nazioni Unite e scritta la Dichiarazione universale dei diritti umani.
Eppure la storia si è ripetuta. La tragedia della Palestina oggi è un esempio lampante di come la lezione del passato sia stata dimenticata. Il popolo palestinese è stato sottoposto a decenni di oppressione, espulsioni e violenze da parte dello Stato di Israele. Il paragone con i genocidi della seconda guerra mondiale è inevitabile. Ebrei, persone con disabilità, popolazioni nomadi di etnia rom e sinti e omosessuali furono espulsi gradualmente dalla società civile, deportati e uccisi. Oggi, il popolo palestinese sta subendo la stessa sorte.
Molte persone, influenti leader mondiali inclusi, sembrano ignorare ciò che sta accadendo in Palestina o preferiscono giustificare queste azioni in nome della sicurezza di Israele. Ma la verità è che il popolo palestinese sta vivendo una vera e propria tragedia somigliante a un genocidio, come diversi giornalisti e associazioni umanitarie hanno chiamato quanto sta accadendo in particolare nella striscia di Gaza.
Non possiamo rimanere indifferenti. Come cittadini abbiamo il dovere di chiedere a gran voce di intervenire per la tutela dei civili innocenti. La geopolitica e gli interessi nazionali non possono prendere il sopravvento sulla moralità e sui diritti umani.
Il genocidio armeno – (a cura di Omar Lanfredi)
Se pensiamo al genocidio ebraico, per analogia ci ritroviamo in un altro importante genocidio, quello armeno, perpetuato dall’Impero Ottomano a cavallo tra Ottocento e Novecento. Gli Armeni sono un popolo cristiano originario dell’Altopiano omonimo, collocato oggi tra Turchia e Iran. Durante i secoli di dominazione ottomana gli Armeni, nella loro totalità, sono stati vessati e attaccati in virtù della loro cristianità. La Chiesa apostolica armena è una delle Chiese ortodosse orientali. Quest’odio radicatosi, come in altre tormentate storie di discriminazione, raggiunse il suo culmine nel secolo scorso con il massacro e le deportazioni organizzate da parte delle autorità ottomane, tra il 1915 e il 1919, che causarono circa 1,5 milioni di morti. Tale genocidio viene commemorato dagli Armeni il 24 aprile. Purtroppo il mondo ne è venuto a conoscenza e ha cominciato a parlarne sorprendentemente solo nell’ultimo decennio, grazie a un’iniziativa vaticana. Lo storico turco Taner Akçam fu però il primo a parlare apertamente di genocidio. Inutile dire che per questo è stato arrestato e condannato a dieci anni di reclusione; fortunatamente è riuscito a fuggire e a rifugiarsi in Germania. Oggi continua il suo lavoro negli USA. Nel 2024 mezzo globo, tra cui l’Asia, l’Africa e la quasi totalità del mondo arabo musulmano, non riconoscono ancora il genocidio armeno.
Il genocidio Rohingya – (a cura di Janiss Zanoni)
I Rohingya sono una popolazione musulmana che si trova nelle zone della Birmania. Non è riconosciuta da nessuno stato e questo l’ha portata ad affrontare continui conflitti nel corso della storia. Le loro origini non sono ancora attestate con precisione: si stima che la popolazione fosse costituita da circa un milione di persone, il cui numero è diminuito significativamente nel corso dei secoli a causa di svariate migrazioni, provocate dai conflitti nella Regione e dallo sfruttamento colonialista britannico.
La guerra che combattono con lo stato del Myanmar (Birmania) inizia nel 1942 e si connota come conflitto religioso tra i Rohingya, di fede musulmana, e i Birmani, di fede buddista, caratterizzato da continue persecuzioni nei confronti dei primi. Lo status di cittadinanza è un diritto di cui non beneficiano, sono considerati degli “immigrati illegali”. Le violenze più recenti trovano il loro capro espiatorio nello stupro di una donna buddista, avvenuto nel 2012, che ha portato alla sparizione di circa 600 Rohingya e alla distruzione di numerosi villaggi. Da allora la loro fuga è notevolmente aumentata e nel 2017 la situazione ha raggiunto l’apice: il Rohingya Salvation Army ha compiuto un attacco armato contro l’esercito birmano, che ha risposto con un autentico massacro. Più recentemente, nel 2021, a seguito di un colpo di stato in Birmania, che ha aumentato ancora una volta il tasso di violenze verso le minoranze autoctone, le Nazioni Unite hanno provveduto a condannare l’esercito birmano responsabile per crimini contro l’umanità.
Ancora oggi sono circa 730.000 i civili che fuggono nei paesi limitrofi con la speranza di trovare riparo dagli stupri, dagli attacchi e dagli incendi appiccati con l’intento di sterminarli. I Rohingya non hanno la possibilità di lavorare o di spostarsi. Trovano difficoltà persino nell’accedere a beni di prima necessità.
Arte d’informazione
Tu sei PAZZOH, questo articolo è PAZZESCOOH. Il multiculturalismo di questo articolo è amazing. Complimenti Lanfredo Omer.