di Martina Bonali, Carlotta Cominotti, Camilla Furini, Martina Gialdini, Sofia Traini
Democrazia greca vs democrazia italiana
Dacché è stato concepito, il concetto di democrazia non ha mai osservato un’unica, concreta traduzione sotto il profilo storico: tuttavia, pur nelle diverse forme di realizzazione, il comune denominatore è, da sempre, la ricerca di una modalità di Governo che garantisca al popolo di governare in maniera effettiva.
Dal punto di vista etimologico, democrazia significa, appunto, “potere del popolo”, dal momento che la gestione della politica spetta, direttamente o indirettamente, ai cittadini: essa include, pertanto, regolari elezioni, libertà di espressione e possibilità di aderire a più orientamenti politici.
Ciò mostra come l’annosa storia della dottrina politica oggi più diffusa e ambita, ponga in stretta correlazione la contemporaneità e l’Atene del VI secolo a.C.
Il sistema ateniese, fondato sulla democrazia diretta, prevedeva che un certo numero di cittadini avesse facoltà di proporre le leggi e votare: dovevano essere adulti, maschi, non stranieri e liberi. Uno dei padri della democrazia è stato Pericle, cui si attribuisce l’iconica frase: Si chiama democrazia, poiché nell’amministrare si qualifica non rispetto ai pochi, ma alla maggioranza.
Oggi, al contrario della democrazia greca, in quasi tutti gli Stati democratici, i cittadini minorenni godono dei diritti politici senza alcuna distinzione. Anche gli stranieri hanno questi diritti, ma solo a specifiche condizioni e se risiedono per un tempo prolungato nello Stato in cui si sono trasferiti. Pertanto, oggi, la democrazia è la forma di governo che più garantisce ai cittadini libertà e rispetto dei diritti umani.
Ma è davvero così?
Garantisce davvero libertà e rispetto a tutti?
Essere Xènos nel mondo greco
Ad Atene, i cittadini – ovvero coloro che avevano entrambi i genitori di origini ateniesi – godevano dei pieni diritti politici e sociali, mentre gli stranieri, considerati xenoi o meteci, erano soggetti a restrizioni legali e sociali: gli stessi “creatori” dell’idea di democrazia, un concetto rivoluzionario, potevano essere ritenuti tra i popoli più razzisti del mondo antico.
Si consideri, a tal proposito, l’uso spregiativo del termine bàrbaros, che qualificava chi si esprimeva in una lingua non greca come “balbuziente”. Il fatto che i Greci non comprendessero gli idiomi altrui – o fingessero di non conoscerli, come pare plausibile vista la vocazione al commercio di tanti di loro – li portava anche a una svalutazione degli usi, dei costumi e delle pratiche sociali o religiose degli stranieri. Questa distinzione si rifletteva nella vita quotidiana, nella politica e nelle relazioni tra le poleis.
Essere Xènos oggi
Anche nelle società odierne il razzismo è tristemente presente: lo si può riconoscere in molteplici situazioni, nonostante l’articolo 3 della Costituzione stabilisca che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Questo sottolinea il rilievo dato dai Padri della nostra Carta all’uguaglianza e, sulla base di esso, nessun individuo dovrebbe essere trattato in modo diverso. La legge italiana dovrebbe garantire la protezione dei diritti di tutti i cittadini, compresi quelli degli stranieri e promuovere l’unità nazionale attraverso l’uguaglianza e il rispetto reciproco.
Nonostante ciò, il razzismo emerge in vari ambiti: sul posto di lavoro, ad esempio, dove sono evidenti i casi di discriminazione in relazione alle assunzioni, alle promozioni o ai licenziamenti; oppure sui social media, che possono influenzare le opinioni dei fruitori tramite la rappresentazione distorta o stereotipata di gruppi etnici; e, ancora, nella cinematografia, nei programmi televisivi o nei giornali. Anche a livello sanitario le discriminazioni sono piuttosto evidenti: sono stati denunciati casi in cui le persone di colore hanno ricevuto cure di qualità inferiore o hanno avuto difficoltà ad accedere ai servizi sanitari.
I giovani nella democrazia
Nell’antica Atene, per poter avere pieni diritti politici era necessario essere uomini adulti. Così come oggi, in Italia, è necessario aver superato la maggiore età per votare. Questo perché per prendere decisioni che hanno peso sullo Stato, è importante aver sviluppato un pensiero critico efficace e, soprattutto, privo personale e privo di condizionamenti esterni.
Tuttavia, anche i giovani che hanno già ottenuto la possibilità di partecipare alla vita politica, spesso non si sentono rappresentati dal Governo. Un rapporto Censis del 2021 ci rivela che, tra i ragazzi tra i 18 ed i 34 anni, il 74,1% ritiene che troppi anziani occupino posizioni di potere nel campo dell’economia, della società in generale e dei media. Se guardiamo tutta la popolazione, la percentuale si ferma al 65,8%.
In effetti, negli ultimi anni, l’età media dei senatori italiani è stata di 56 anni, così come quella dei parlamentari. Nella campagna elettorale del 2022 sono stati eletti solo quattro deputati under 30 e, secondo un’analisi di Openpolis, su cinquemila candidati alle elezioni nazionali, solo il 15% aveva meno di 40 anni; solo il 3% meno di 30.
Ciò significa che la stragrande maggioranza delle decisioni che riguardano la gioventù (gestione delle università e, non ultimo, delle borse di studio), vengono prese da persone anagraficamente lontane e senza un confronto con coloro che certamente risentiranno di queste scelte. Anche per questo motivo, i giovani non si sentono coinvolti nella vita politica del nostro Paese.
È vero che è necessaria una certa esperienza per poter ricoprire cariche così importanti e che hanno un’influenza così grande su tutta la popolazione giovanile, ma all’interno delle Istituzioni è necessaria anche una componente che possa vedere rappresentati i ragazzi. Solo con la giusta collaborazione tra questa componente e quella invece più anziana, che gode di maggiore esperienza, si può arrivare ad una democrazia correttamente applicata, in cui tutta la popolazione si possa sentire rappresentata.
L’evoluzione del ruolo delle donne
Com’è noto, l’inserimento della donna nella società è storicamente diversificato in base alle culture, all’epoca e alla latitudine di riferimento.
Osservando il ruolo della donna nell’antica Grecia, ad esempio, notiamo che era giuridicamente libera, ma non godeva di diritti politici come la controparte maschile.
La condizione delle donne in Italia è oggi radicalmente cambiata rispetto al passato: merito di una maggiore partecipazione alla società e alla vita politica, iniziata il 10 marzo del 1946 con l’acquisizione del diritto di voto. La lotta al femminile per arrivare a questi primi risultati è stata lunga, difficile e caratterizzata da secoli di ingiustizie. Oltretutto, secondo il Global Gender Gap Index, che analizza i passi fatti in direzione della parità di genere nei settori della politica, dell’economia, dell’istruzione e della salute di 153 paesi, l’Italia si classificava solo al 76esimo posto nel 2019.
Un dato su cui ragionare è la composizione del nostro Parlamento, dove le donne ricoprono 200 dei 600 seggi disponibili; sei sono riservati a senatori e senatrici a vita, che hanno un incarico permanente.
Tutti questi dati ci fanno pensare che un cambiamento radicale c’è sicuramente stato, ma, osservando più accuratamente , notiamo che purtroppo il numero di donne in politica è ancora più basso rispetto a quello maschile.