Viaggio nell’adolescenza e nella psicologia attraverso l’intervista al dottor Giorgio Cavicchioli 

di Gaya Panini

Grazie di aver accettato quest’intervista.

Come sa, a partire dall’anno scorso abbiamo avuto diversi atti di vandalismo nel nostro istituto, che non si erano mai verificati prima. Per questo vorremmo il Suo parere rispetto agli adolescenti di oggi.

Partiamo dunque con le domande.

Quali sono i problemi per i quali gli adolescenti di oggi si rivolgono ad uno psicologo?

La prima problematica è lo stare con gli altri, ciò può recare malessere, disagio, difficoltà a relazionarsi. Con “altri” non intendiamo solo chi ci circonda ma anche gli ambienti che frequentiamo. Certi individui possono trovarsi in difficoltà anche nella relazione famigliare, con il partner o tra amici.

La seconda riguarda i problemi con se stessi ed è sicuramente legata alla precedente. Con questa si intendono tutti i problemi dovuti all’autostima, i problemi con la propria immagine, il rapporto con se stessi in termini di affettività, sessualità, identità di genere, ansia e depressione.

Per ultimi abbiamo i problemi alimentari come l’anoressia o la bulimia.

Quanto ha inciso sullo stato di salute mentale degli adolescenti il lockdown?

Molto, non solo il lockdown ma l’intera esperienza della pandemia, durante la quale sarebbe servita un’attenzione maggiore dei più grandi verso i più piccoli. Durante quel periodo ci sono stati momenti forti di cambiamento, perdita di sicurezza, sofferenza per i propri cari malati, per alcuni l’esperienza della morte e il distanziamento intrapersonale che ha portato ad una serie di alterazioni nelle relazioni. Tutto questo ha influenzato molto i ragazzi, che si sono dovuti adattare ad una nuova realtà.

Qual è la differenza tra devianza e disagio?

“Disagio” è un termine generico, indica malessere psico-fisico, appunto è la perdita di agio/benessere/comfort. Può essere individuale, di coppia, di gruppo e sociale.

Invece “devianza” è un termine di origine statistica e significa difformità di fronte ad una normalità. Questo termine si usa per definire dei comportamenti che infrangono le regole, ossia dei comportamenti anti-sociali. Questi comportamenti sono sempre un segnale, una comunicazione: sono comportamenti che dicono di più sul rapporto tra chi compie il gesto e chi rappresenta l’oggetto.

Gli atti vandalici sono un sintomo di disagio o sono già da considerarsi una devianza?

Dipende dal punto di vista, possono essere catalogati sia come disagio sia come forma di devianza. Sicuramente sono atti che contengono molta rabbia, la quale non trova altro modo per essere comunicata. Alla base deve esserci un problema di tipo comunicativo, un non ascolto di un malessere personale.

Secondo Lei, per quale ragione un adolescente sente il bisogno di compiere atti vandalici in un luogo in cui dovrebbe sentirsi di appartenere come la scuola? Secondo Lei, quando la scuola diventa un ambiente disfunzionale, cioè “tossico”?

Questi atti vengono fatti a scuola appunto perché c’è una relazione affettiva, è un contesto di vita. Con relazione affettiva intendiamo sia odio che amore, entrambi sono sentimenti affettivi. Quando questa relazione affettiva si impregna di rabbia, sofferenza e disagio, bisogna apportare modifiche, cambiamenti nei rapporti e nel modo di vivere il contesto scolastico. Si crea un ambiente disfunzionale quando la capacità di confronto reciproco viene meno, questo reca malessere e le relazioni perdono di significato. 

Ha dei suggerimenti riguardo la domanda precedente?

Sì, ne ho alcuni tra cui aumentare i momenti e gli spazi di ascolto e di espressione, far capire ai ragazzi che i loro pensieri contano, cercare di evitare discriminazioni, lavorare sull’integrazione per evitare l’esclusione, non impedire forme di dissenso e conflitto.

Ritiene che la società e i social influenzino i giovani nei loro comportamenti “devianti”?

Certo, sempre. Un esempio è il fenomeno trap: questo ha alimentato l’influenza deviante; può essere un modello di identificazione, specchio di alcuni comportamenti giovanili.

Bene. Grazie di aver chiarito alcune questioni che ci riguardano.

Ed ora ci piacerebbe conoscere di più sulla Sua storia, se non Le dispiace.

Perché ha scelto questa professione?

Ho scelto ciò perché sentivo il bisogno di conoscermi meglio, di comprendere i miei vissuti e le mie fragilità… “medice cura te ipsum”!

Cosa ama del Suo lavoro?

Del mio lavoro amo la possibilità di aiutare le persone, contribuire a fornire sostegno.

Cosa prova quando ascolta i Suoi pazienti?

Tante emozioni, positive e negative: tristezza, malinconia, dolore, speranza. Credo che la trasformazione delle emozioni sia la cura.

Ci sono ancora molti pregiudizi sulla figura dello psicologo, come “andare dallo psicologo crea più caos nella testa di prima” o “perché devo parlare dei miei fatti ad uno sconosciuto”. Cosa vorrebbe dire a chi ancora ha paura dello psicologo?

In un mondo sempre più complesso, che genera incertezze e paure, forse è la cosa più importante da fare. Andare dallo psicologo è uno dei più grandi regali da farsi.

Grazie del consiglio. A nome della redazione del MyFermi Le auguro un buon lavoro!

*dottor Giorgio Cavicchioli, direttore dell’istituto di Psicologia psicanalitica di Brescia, formatore, consulente e supervisore, psicoterapeuta psicanalitico ad orientamento intersoggettivo-costruttivista.

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