Intervista all’esperto Matteo Molinari

di Khadija Charyf

Forse non tutti sanno che la nostra scuola da qualche anno offre agli studenti un corso di cinema, diretto dal professor Matteo Molinari. Abbiamo deciso di intervistare il professore per saperne di più sulla sua formazione, la sua passione e oggi la sua professione.

“Un grazie di cuore per aver accettato quest’intervista. Cominciamo dunque con la prima domanda:


“Da quanti anni insegna cinema e come ha iniziato?”

“Questo tipo di attività è iniziata nel 2001, è da una ventina d’anni che tengo corsi o singole lezioni di cinema. Ho iniziato in collaborazione con il comune di Cerese. Il primo corso era aperto al pubblico, a cui hanno casualmente assistito delle insegnanti, che mi hanno proposto di portare quest’attività anche nelle scuole. Così l’ho “inventato”, nel senso che nessuno l’aveva mai fatto a Mantova; e quindi mi sono immaginato il modello un po’ come quello dei corsi universitari, ma più brevi, come le 50 ore che invece si fanno nelle università, ridotte a un massimo di 16.”

“Quale facoltà ha frequentato per diventare esperto di cinema?”

“Oggi la mia facoltà di Lettere moderne con specifico indirizzo artistico non esiste più, fare cinema oggi non esiste. Questo indirizzo è diventato Scienze della Comunicazione, una base di formazione umanistica letteraria, in cui si danno poi gli esami universitari in ambito umanistico.”

“Come sceglie gli argomenti che affronta e i film che analizza?”

“Gli argomenti che scelgo seguono due linee. La prima fondamentale è quella di proporre la visione di film che siano belli da un punto di vista artistico, quelli che hanno un valore intrinseco, ovvero un valore estetico; scelgo film che siano ben fatti, ovvero con una poetica autoriale molto forte, di un regista che sia consapevole di quello che è il potenziale espressivo del linguaggio artistico cinematografico che intende usare, che sia in grado di modellarlo, per dare forma a un pensiero. Il secondo, cerco di trovare dei collegamenti con avvenimenti politici o di attualità, in modo da avere un’interpretazione soggettiva rispetto a ciò che la storia racconta. Preferisco lavorare, appunto, sugli autori contemporanei, perché mi offrono degli strumenti per elaborare un pensiero critico su quello che sto vedendo. Ecco perché diventa importante la codificazione del linguaggio per comprendere il contenuto del racconto che viene fatto. Spesso guardiamo senza avere la conoscenza critica di che cosa stiamo vivendo, perciò cerco di mostrare le problematiche sociali attuali che si possono riscontrare nei film, anche se ambientate in epoche diverse”.

“Che differenza c’è nell’insegnare a età diverse?”

“Iniziamo col dire che i contenuti non li cambio, ma cambio il modo di esprimermi: se si tratta di adulti, per esempio, posso dare per scontate svariate conoscenze ed essere più discorsivo, mentre per i ragazzi delle superiori, quindi della vostra età, cerco di dare un’impaginazione più storica e metodologica. Mi interessa che voi apprendiate un metodo critico, che altrimenti non avreste modo di conoscere, sia con agganci storici, letterari e filosofici, in modo da non far sembrare la critica cinematografica come qualcosa di lontano dai visti percorsi di studio. Ovviamente questo dipende anche dal tipo scuola: in un liceo linguistico cerco di collegarmi con approfondimenti per spagnolo, inglese, cinese e via dicendo, mentre in ambito umanistico, per quanto riguarda un classico o uno scientifico, per lo più mi metto d’accordo con gli insegnanti su cosa approfondire. Per quanto riguarda i preadolescenti, un approccio psicoanalitico non posso usarlo con dei ragazzi di 12 anni né fare dei riferimenti a filosofi che voi fate o farete in quinta. Cerco di non banalizzare il concetto ma trovo delle forme di espressione più adatte; inoltre un film come “Joker” (di Todd Phillips) non posso proporlo a dei ragazzi sotto i 14 anni, per cui faccio anche scelte di film differenti. Sicuramente tra il modo di esprimermi e le scelte degli argomenti c’è molta differenza.”

“Com’è stato lavorare in DAD in questi due anni di Covid?”

“Terribile. La parola giusta è questa, perché nel mio caso devo lavorare faccia a faccia con il pubblico, non averlo davanti a me ma solo su uno schermo significa non vedere le reazioni. Era molto deprimente. Sicuramente rispetto a 20-30 anni fa è una fortuna che sia capitato in questo periodo. Grazie alla tecnologia, con le videochiamate, che sono novità di 4-5 anni fa, ho potuto fare lezione anche se non come prima.”

“Che consigli darebbe ad una persona qualunque per guardare meno superficialmente un film?”

“Questo è appunto il mio lavoro: infatti cerco di far vedere prima il film per intero, cosa che ho fatto anche con voi, che parli attraverso trama, musica o altri elementi come la fotografia, non immediatamente coglibili . Il mio lavoro è far capire che il film non è una realtà naturale, ma un prodotto culturale e quindi se si è arrivati a provare certe emozioni o pensieri è perché dietro ci sono un regista, un autore che hanno deciso di farti arrivare quel messaggio emotivo e di contenuto in un determinato modo. Tramite una particolare scrittura della sceneggiatura, scrivendo i dialoghi di un certo tipo e con determinate inquadrature, regista e autore cercano di trasmettere quell’emozione, è così si impara a guardare il film nella loro ottica. È la stessa cosa che voi fate in letteratura con le poesie, dove la vostra insegnante vi mostrerà che in alcune parti ci sono delle parole usate in un certo ordine, perché l’autore ha deciso di far intendere quel pensiero a chi legge la sua poesia; questo vale anche per storia dell’arte con un quadro o un’ architettura.
Consiglio di porsi delle domande mentre si guarda un film, pensando perché il regista ha deciso di operare quella determinata scelta.