Una promessa, seppur vaga, rimane per sempre scolpita nell’anima.
di Emma Malavasi
Quanto è banale la presunta perfezione!
In un mondo fatto di cifre e lettere e non di nomi e cognomi.
Non fatto di noi, ma fatto da noi.
In una realtà in cui devono per forza vincere tutti, come si può se i volti sono coperti da schermi e maschere, i quali tramutano l’egoismo in altruismo ipocrita?
Si parla di amore, ma solo a bassa voce: le macchine non sprecano tempo per questo.
Allora tacerò, perché le anime gemelle si parleranno senza parola.
Indosserò un’armatura e scomparirò al suo interno; lascerò intravedere solo i miei occhi.
Ti cercherò sfuggendo a questa vita, perché sai aspettare.
Fai uscire genuinamente due parole dalla tua bocca e le tratti come una promessa.
“Ti aspetto”.
Le rispetti come una regola.
Ti rifugi in un prato fiorito, osservi il clima mutare lungo il corso delle giornate: gli accecanti raggi del Sole lasciano spazio alla pallida luminescenza della Luna e delle sue figliolette.
Poi ricomincia tutto da capo.
Ancora e ancora.
Profumo di fili d’erba, il vento sposta le foglie degli alberi e ti accarezza il viso.
Hai la pelle d’oca.
Percepisci lo scorrere del tempo solo dal cielo.
Sto cercando di uscire da questa sala d’attesa dalle pareti claustrofobiche e intrisa di odori chimici.
Dietro la sedia, subito a sinistra della porta, si nasconde qualcosa.
Una decorazione non opportuna, sbagliata in questo contesto asettico: una cerniera che dai piedi della sedia arriva a toccare il soffitto.
La tiro lentamente verso l’alto.
Si apre un varco e vengo accecata dalla luce: eccoti, sdraiato in una coperta di verde, innamorato della natura.
Sapevo che non saresti andato via.
Parole sottovoce e silenzio assordante: chi è più presente?