“Stasera uscirò in barca.” 

di Andrea Annibaletti

Lento.

Tic-toc.
Tic-toc.
Tic-toc.
Tic-toc.

L’uomo artista sta seduto in un silenzio che avvolge ogni pensiero.

Aspetta. 

Ha già preso la decisione. Nonostante abbia trovato il suo equilibrio vuole tornare ad assaggiare le sensazioni passate. Sa come fare. L’unica cosa ora è attendere.

Sente oltre le finestre un’auto entrare nella via e fermarsi di fronte alla sua casa.
Passi. Passi sulle scale che ad un tratto indugiano brevemente arrivati alla porta.

Porta si apre.
“Ciao amore!”
Porta si chiude.

Tac-toc. Tac-toc. Tac-toc.

I tacchi degli stivali anticipano l’entrata in stanza della donna dal cappotto cammello.

“Amore che fai tutto silenzioso?”

Domanda lanciata e abbandonata. Veloce e addobbata di sacchetti si precipita con occhi e gambe in cucina. Da quest’ultima il concerto del traffico di barattoli si innalza. Ante che si aprono e rimangono aperte. Vasetti che violentemente sbattono tra loro.

“Stasera uscirò in barca.” 

“Cosa? Non ti sento amore, aspetta.”

Serve un minuto intero al rumore per cessare. La donna torna nella stanza dove finalmente si toglie il soprabito. Quest’ultimo nasconde un delicato maglione dalla scritta “Serious?”.

“Avevi detto qualcosa?” dice la donna.
“Si”. Risponde l’uomo.
“…” 
“…”
“Embè, che hai detto?”
“Che stasera esco in barca”.
“In barca?”
“Si. In barca”.
“Stai scherzando?”. La donna ha uno sguardo tra l’attonito e il nervoso.
“No”
“…”
“Non sto scherzando. Questa sera uscirò con la barca di tuo padre.” 

La barca a cui si fa riferimento è quella del defunto padre di lei, il quale era solito andare a vongole. Alla sua morte, oltre ad una cospicua somma, lasciò la cigolante “Regina”, accompagnatrice dei suoi ultimi soli.

“Ma…e-e perché minchia vuoi uscire in barca? E poi perché di sera?”
“Voglio pescare. È da tanto che non afferro canna e mulinello. Andrò stasera per sfruttare l’assenza di umani in mare.”

Un minuto di silenzio per permettere alla donna di digerire le informazioni.

“Non penserai mica di andarci da solo vero? Viene Paolo con te?”
“Ah si certo. Si, viene anche lui. Da piccoli pescavamo ogni pomeriggio. È un semplice ritorno al passato. Nulla di che.”

Il viso della donna si rilassa leggermente.

“Va bene. Ma non tornare alle cinque di mattina.”

Detto ciò si dirige verso il bagno decretando la fine della discussione.

La cena è finita.

Tra lui e lei si è parlato del più e del meno. Della giornata, del lavoro. Solo nella fase conclusiva sono ricaduti sul tema della barca. Lui però ha dimostrato maestria nel rassicurare la donna.
Ora si prepara ad uscire. Scende nel garage dove, dopo aver indossato giacca e stivali, si mette a cercare la canna da pesca, non presa in considerazione da ormai 6 anni. 
Dopo diversi spostamenti di casse, sacche e vasi di terracotta, riesce a scorgere le inserzioni giallo fluo dell’arnese cercato. Dopo averla presa tra le mani, si ferma a fissarla pensieroso:

Tutto deve essere normale. Niente di fraintendibile.
Risale deciso le scale, prende le chiavi dell’auto e della barca, per poi giungere all’uscita. 

“Ciao amore, esco”
“Sta’ attento e non fare tardi”

Detto ciò chiude la porta.
Ad accoglierlo è una temperatura gradevole. Il frigido dell’inverno ha lasciato spazio al tiepido della primavera. 
In estate il vento non c’è oppure scioglie, pensa. In inverno il vento uccide. Ora il vento c’è, ma accarezza la pelle senza brivido.
Quando è così, si sente gradito dal pianeta Terra.
Sale in macchina e dopo dieci minuti di guida arriva al molo. Non è molto pratico del posto. Si mette a cercare tra la dozzina di barche la “Regina” del mare. 

“Scarabeo”, “Domina”, “Blue lady” … ed ecco l’incoronata. 

Solo un paio di volte gli erano state date lezione sulla navigazione in mare. Sufficienti, a suo dire, per salpare quella sera. 
L’imbarcazione del suocero è decisamente più grande di quanto ricordasse. A guardarla bene ha più le sembianze di un peschereccio che di una semplice barca a motore. Possiede alte murate laterali dall’inclinatura molto lieve. Su una di esse è presente la scaletta grazie alla quale l’uomo sale cautamente.
Dopodiché procede a mollare gli ormeggi e a dare vita al motore. Dopo vani tentativi di accensioni e varie occhiate al serbatoio, la “Regina” si sveglia e si appresta ad inoltrarsi in mare. 
Guarda dietro di sé le luci della costa che gradualmente si allontanano. Loro da lui. Lui da loro. Quando si è in mare, l’allontanamento non è solo distanza, ma è fatto anche dell’ignota profondità celata dalla superficie dell’acqua. 

Naviga per poco. Si riescono ancora a scorgere le luci tremolanti della terra ferma. 
Spegne il motore. È giunta l’ora. Inizia a percorrere il breve tratto di pontile fino ad arrivare ad una cassa bianca. La apre ed estrae una fune arrotolata, di quelle che si usano per soccorrere le persone in acqua. Lentamente si dirige verso la ringhiera della barca, lega la corda prima a quest’ultima e poi alla sua vita. Con enorme cautela scavalca la ringhiera restando così aggrappato alla parte esterna di questa. 

Lento.

Comincia a far scorrere la fune tra le mani, calandosi verso il basso come uno scalatore con l’imbragatura. Arriva finalmente a mezzo metro dalle onde. Mentre prima dava la schiena alla superficie del mare, ora si gira per osservarla a viso aperto. 
Rimane così, sostenuto dalla corda. 
Sospeso tra l’ordine della barca e l’infinito.

Lui, l’artista che vuole tornare ad immergersi nel mondo magico ed angusto della sua mente creatrice. Sa che per farlo deve immergersi e al tempo stesso mantenere in contatto con quel mondo ordinato da nozioni e superficialità. Si chiede se ciò è realmente possibile. Essere uomo artista e uomo di vita, insieme.

Non resta che affidarsi tutto alla fune ombelicale, sperando che questa non si rompa e lo faccia sprofondare nelle nere acque di questa notte.

2 commenti a “FUNE OMBELICALE”
  1. Questo ragazzo merita e lo sta dimostrando. Diamo spazio a questi ragazzi che al tempo d oggi sono rari e valgono come l’oro

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