Illustrazione di Greta Vaccari

Giustamente non fanno pagare il coperto

di Andrea Annibaletti

E allora, cosa vuoi? Verme.
E ridacchia: ah-ah-ah.
Cosa pensi di volere? Ou! Aha! Lo so bene cosa vuoi, mendicante. Vuoi le briciole. Vorresti le braciole, magari le meriti anche. Così, però, le bricioline puoi ambire. E io non te le do.
Cazzo, ha ragione. Beh, ma guardala. Guardala, cazzo. Manco le briciole mi lascia. Incredibile, è statuaria. Ha una ganascia bloccante verso zona 90-120 gradi. E guarda la strafottutissima coincidenza: è la zona dove mi tocca mangiare sto cous cous al cecio, vecchio. ‘Ste panche appiatta culo…
Va be’, ma lo sai. Lo sai di cosa mi cibo. Un minimo di pietà.
Che poi, magia d’una illusione ottica, se mi giro e la pongo nella parte sfocata della mia vista da talpa, se la immergo nello sgranato, mi sono permesse mille cose. In questo modo riesco quanto meno a grattare il dentino là in fondo, o meglio, riuscirei a farlo se non avessi consapevolezza dell’illusione ma, beata ignoranza, ce l’ho.
E invece no. Ma forse così è giusto. È così. Così è. Talvolta anche al ristorante fanno piazza pulita. Il ristorante. Il ristorante interessante.
Mi ricordo di un progetto interessante buttato giù questa estate. Che poi è un incipit scarso.

  “Sente che lo sta richiamando verso il mare,
lui, unicamente lui.
Vuole dispiegare la sua bellezza sotto il cielo pallido dafa. Il sole verrà per
far risplendere la sua pelle argentea.
Il ragazzo sa che lo vuole, sente i suoi pensieri in lontananza.
Allora la ragazza si alza…
 Immerge le caviglie osservandosi intorno.
 Apprezzando le falesie biancastre che, ombreggiando sotto di loro, donano un aspetto macabro
 al mare.”

Non male. Peccato, c’era materiale. Solo questo ho creato però. E questo non basta, capisci? Non bastano gli sguardi. Non sono neppure incontri, sguardi.

 “Mi ispirano gli incontri fuggevoli.
Quelli informi. Non sono neppure incontri, sguardi.
Quelli propri dei minuti intermezzi.
Quegli sguardi dinamici, che allontanandosi da loro
 Fioriscono la loro bellezza.
Che si dettagliano splendidamente
Nel progressivo diminuire del millimetro.”

E ridai. Pomposo, oltretutto. Basta. Guarda il tavolo. Guarda il tavolo e basta. È rosso.
È rosso il tavolo e basta e davanti c’è la vaschetta di cous cous che ha un odore non buonissimo, ma il sapore si salva, dai.
Sta qui, Drew. Tocca il tavolo. Attaccati al tavolo che se no voli. Le pareti sono azzurre, fuori c’è grigio, ci sono ragazzi che mangiano parlano ruttano ridono, si dicono “che cazzo fai, ma potrai…potrai mai?”.
Puf puf puf.
Posate di plastica e tovagliolo di carta. In omaggio. Giustamente non fanno pagare il coperto.
Ahhh, ecco! Ecco cosa serve in città.

Nuova apertura in città. Tra il barbiere e il parrucchiere c’è un nuovo ristorante.

Cavolo, ne avevo sentito parlare e sono proprio qua davanti. (Del tavolo più nessuna traccia, della mensa più nessuna traccia, è una via) Più nessuna traccia, della mensa più nessuna traccia, è la stereotipata via imbiancata riscaldata da stufette luminose che sono locali paralleli che si guardano. Lampioni) Beh…sì dai, cosa mi costa entrare a vedere? Poi la fame è tanta. Spingo la porta a vetrata corniciata di verde.
Entro ed è il classico ristorante. C’è un’atmosfera…gialla. Un giallo dorato, accogliente. C’è la fila. Quindi aspetto un po’ analizzando l’entrata e le decorazioni. Niente da segnalare. Ora io.

Ha prenotato?
No.
Ah.

È solo? Ah, scusi! Mi scappa sempre la domanda. Sono nuovo qui, prima lavoravo in un ristorante di pesce, veda un po’ lei. Sì, certo. Abbiamo posto, l’accompagno.
E allora lo seguo slalomeggiando tra i tavolini da bistrot occupati.
Ecco il mio.
Arriveranno subito a servirla.

Grazie.

E se ne va, non prima di avermi lasciato il menù. E allora leggo il menù:

Antipasto del giorno:
– Di sfuggita.

Primo del giorno:
– Di rimprovero.

Secondo del giorno:
– Damore.

Dessert del giorno:
– Incantato

La scelta non è proprio variegata.
Alzo la mano e il cameriere arriva.
Sì?
Prendo solo il dessert.
Ookey. Fammi indovinare: del giorno.
Esattamente.
Scrive sul taccuino. Scheggia via togliendo il menù.
Ookey. Lo seguo con lo sguardo, tamburellando sul tavolo. Caspita non è stabilissimo, traballa un pelo. Sia l’uomo che il tavolo.  
La porta si apre in fondo e…Ah! Ecco il mio piatto. Fulminei. Il cameriere accompagna il mio piatto verso il mio tavolo. Fa sedere il mio piatto sulla sedia di fronte a me. Sono un po’ disorientato, spiazzato. Il cameriere va via. Allora osservo il suo sguardo incantato. L’osservo curioso.

Non servono posate. Giustamente non fanno pagare il coperto.

Di Andrea Annibaletti

Amante del cervello e dei film labirintici. In quanto a scrittura, Baricco una spanna sopra gli altri. Provo a scrivere poesie.

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