Un’isola poco più grande della Sardegna a largo delle coste cinesi potrebbe essere il teatro di un’ipotetica nuova guerra mondiale. Ma perché proprio qui? Che cosa vogliono Stati Uniti e Cina da Taiwan?

di Lanfredi Omar

Tra ieri e oggi

L’isola di Taiwan, nota ai tempi della colonizzazione portoghese come Formosa, subì la sottomissione all’Impero cinese nel XVII secolo e conseguenti massicce ondate di migrazione da parte della Cina continentale. Questo determinò una sostituzione della cultura e dell’etnia indigene, che finirono per essere assimilate a quella dello stato conquistatore.

Con la dissoluzione dell’impero cinese nel 1912 nacque la Repubblica di Cina, governata dal Kuomintang, un partito nazionalista, fondato nel 1919 su “Tre Principi del Popolo”: indipendenza nazionale, potere del popolo, benessere del popolo. 

Nel frattempo l’Unione Sovietica cercava di portare all’ascesa i bolscevichi cinesi, determinando nel 1921 la fondazione a Shanghai del Partito Comunista Cinese, lo stesso partito unico che oggi controlla la Cina. 

Il Kuomintang auspicava la nascita di uno Stato liberal-capitalista e mise violentemente fine tanto alla crescente influenza bolscevica quanto al potere dei signori della guerra del nord e formò a Nanchino un governo di cui deteneva il potere sia politico sia militare. Questo provocò una guerra civile che perdurò per lunghi anni. Solo con l’invasione giapponese della Cina nel 1937, i comunisti e i nazionalisti realizzarono per breve tempo una politica d’accordo per respingere l’invasore. 

Nel 1946, fallita ogni possibilità di accordo tra le due fazioni, cominciò la seconda fase della guerra, che terminò violentemente nel 1949 e vide prevalere le forze comuniste guidate dal futuro dittatore Mao Tsedong. Tutta la Cina continentale passò sotto il controllo del partito comunista, mentre il Kuomintang si rifugiò sull’isola di Taiwan che, con la resa del Giappone alla fine del secondo conflitto mondiale, era tornata dopo mezzo secolo ad essere cinese. 

Dalla seconda metà del secolo scorso, l’area è caratterizzata dalla tensione tra la Repubblica Popolare di Cina e il governo secessionista di Taiwan. Si sono verificate ripetute crisi internazionali e addirittura scontri molto violenti in mare. A causa del sentimento anticomunista all’inizio della Guerra fredda, la Repubblica di Cina (limitata a Taiwan) fu riconosciuta inizialmente come l’unico governo legittimo della Cina da parte dell’ONU, ma la situazione fu totalmente capovolta negli anni Settanta, in vista probabilmente anche dell’apertura al mercato internazionale, che ha portato poi oggi la Cina rossa ad ergersi a superpotenza mondiale.

Membri del Kuomintang

Tra oggi e domani

Taiwan, il cui nome ufficiale resta Repubblica di Cina, rivendica tuttora i territori che sono governati dal regime di Pechino. La capitale de iure sarebbe Nanchino ma, essendo quest’ultima sotto giurisdizione della Cina comunista, si trova de facto a Taipei, sull’isola. 

Alcuni paesi, tra cui gli Stati Uniti, mantengono relazioni non ufficiali o “amichevoli” con Taiwan, offrendole supporto politico, economico e militare, ma senza un riconoscimento ufficiale. I governi che riconoscono la Repubblica di Cina sono infatti solo 12: il Vaticano e alcuni piccoli stati dell’Oceania e dell’America latina. Il mondo non riconosce Taiwan, perché la Repubblica Popolare Cinese rifiuta di mantenere relazioni diplomatiche con qualsiasi nazione che ne riconosca la legittimità; la sua intransigente politica di “una sola Cina” rivendica la sovranità sull’isola come una delle sue province. 

Negli ultimi tempi le tensioni attorno a Taiwan sono salite più volte in maniera vertiginosa. La Cina di Xi Jinping risulta molto infastidita dal supporto e dagli aiuti militari che gli USA porgono al governo di Taipei. Lo scorso agosto, il viaggio a Taiwan della portavoce della Camera dei rappresentanti statunitense Nancy Pelosi ha causato non poche complicazioni: il 4 agosto la Cina ha dato il via alle più grandi esercitazioni militari mai fatte intorno all’isola, con il lancio di ben 11 missili balistici. Per Pechino si è trattato di “contromisure necessarie”. Taipei, da parte sua, ha schierato sistemi missilistici per tracciare l’attività dell’aviazione cinese, mentre le navi della sua Marina sono rimaste in zona per monitorare le manovre di Pechino. Altre esercitazioni di confronto sono avvenute in altre circostanze simili. 

“Queste operazioni servono come un severo avvertimento contro la collusione tra le forze separatiste – che cercano l’indipendenza di Taiwan – e le forze esterne e contro le loro attività provocatorie” ha detto l’esercito della Repubblica Popolare Cinese. Una situazione preoccupante, tanto che il ministro degli Esteri di Taiwan ha affermato: “Sembra che la Cina stia cercando di prepararsi a lanciare una guerra. I leader cinesi ci penseranno due volte prima di decidere di usare la forza contro Taiwan. E non importa se nel 2025 o nel 2027 o anche oltre, Taiwan deve semplicemente prepararsi”. 

Insomma, si sa che il conflitto ci sarà ma non si sa quando.  A questo si aggiunge l’inquietante ultimatum lanciato dalla Cina, che fissa al 2049 il limite per prendere l’isola, anche con la forza. Ciò implicherebbe probabilmente l’intervento americano e l’inizio quindi di un conflitto epocale.

Taiwan rappresenta ad oggi l’ultimo bastione dell’autentica Repubblica di Cina, l’ultimo lembo di terra dove i Cinesi possono ancora godere di libere elezioni e dove vige il rispetto per le libertà civili e la dignità delle minoranze religiose ed etniche. Se “questa” Cina dovesse mai soccombere all’ingerenza dell’”altra”, segnerebbe dinnanzi al mondo intero un punto di non-ritorno. 

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