Durante la prima domenica dell’anno una commemorazione di nostalgici fascisti ha destato profondo scalpore, gettando il Paese nell’ennesimo caso mediatico di cui non aveva bisogno. Ma perché tanto clamore?
di Omar Lanfredi
Prima il tam tam sui social media, poi il caso mediatico vero e proprio. Sono diventate virali le immagini di numerose e composte file di uomini vestiti in nero che tendono il braccio a fare il celebre “saluto romano”. Un’atmosfera raccapricciante che evoca il ricordo del Ventennio fascista.
Si tratta però dell’annuale commemorazione in ricordo della Strage di Acca Larenzia, nome appunto della via romana dove l’adunata si è svolta. In quel luogo, il 7 gennaio 1978 i primi a morire furono due giovani militanti del Movimento Sociale Italiano, impegnati a fare volantinaggio per un concerto, uccisi a colpi pistola da estremisti di sinistra. Una delle armi utilizzate nell’agguato fu trovata diversi anni dopo in mano alle Brigate Rosse, il principale gruppo terrorista di ispirazione comunista, protagonista degli Anni di Piombo*. Due ore dopo l’attentato a morire fu un terzo attivista del movimento sociale, ucciso dalle Forze dell’Ordine durante gli scontri di piazza, provocati dalle proteste del gruppo di destra nel medesimo luogo dell’agguato di quel giorno.
«Se gridi “Viva l’Italia antifascista” a teatro vieni identificato, se vai a un’adunata neofascista con saluti romani e striscioni invece no», ha twittato Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico (PD). In realtà però la procura di Roma ha aperto un’inchiesta sui fatti del 7 gennaio. Sono già oltre dieci gli indagati per apologia al fascismo. Inoltre la Digos ha identificato un centinaio di militanti di estrema destra che hanno partecipato alla commemorazione. Il ministro dell’interno Matteo Piantedosi ha comunicato in Parlamento che è stato contestato “il delitto di apologia del fascismo” a “cinque esponenti di CasaPound, individuati tra i partecipanti”. Mentre continuano le polemiche in politica e le discussioni sui social, questo giovedì 18 gennaio la Corte di Cassazione si riunirà per affrontare una volta per tutte la questione e chiarire se il saluto romano è da considerarsi o no un reato.
Negli ultimi tempi viviamo periodicamente tempeste mediatiche, volte a strumentalizzare singoli eventi, la cui portata viene volutamente amplificata. Per capire i danni di questo fenomeno basta pensare che la vicenda è stata talmente spremuta dai media che è arrivata anche all’estero, dove è stata sfruttata dalla propaganda russa, che ha parlato di un “ritorno alle radici naziste” dell’Europa. L’accusa di nazismo è un classico della retorica propagandistica russa.
Pur concordi nel condannare in modo fermo e inequivocabile episodi come quelli di Acca Larenzia, c’è da chiedersi il perché di tanto clamore stavolta per una commemorazione che avviene tutti gli anni, più o meno con le stesse modalità. Nel nostro Paese, su cui pesano ancora, a distanza di un secolo, le ombre del Fascismo, sono quasi all’ordine del giorno le manifestazioni di questo tipo.
Alcuni, come nella fiaba di Esopo, gridano al lupo alla vista di certe immagini. È importante però discernere i neofascisti che costituiscono una seria e violenta minaccia alla democrazia, proprio come le camicie nere che nel ‘22 marciarono su Roma, dai nostalgici del fascismo che, per quanto contestabili, si limitano a crogiolarsi nel loro culto delle memorie del Ventennio.
C’è chi sostiene che è comunque necessario lottare contro i rigurgiti fascisti condannandone ogni sua manifestazione, anche quando si tratta di ritrovi non violenti, fondati sulla pura retorica ormai consumata e vecchia di decenni.
Ma siamo certi che amplificare a livello mass mediatico tali episodi vada in questa direzione? Sul serio pensiamo che la soluzione per scrollarci dalle spalle quel “nero passato” sia dare visibilità a questi isolati gruppi di nostalgici?
«C’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sé.», faceva dire Oscar Wilde al suo personaggio Dorian Gray. L’indifferenza, in questi casi, potrebbe essere l’arma vincente.
*Con Anni di piombo si intendono quegli anni della Prima Repubblica italiana, compresi tra il 1960 e il 1980, caratterizzati da violenze, stragi e terrorismo politico da parte di gruppi estremisti di destra e sinistra.
Dire che c’è un pericolo fascista in Italia è una dimostrazione di ignoranza o superficialità, un’insulto alla storia del Fascismo, ai partigiani morti per debellarlo, alle vittime