Ricercatrice fermata dalle disuguaglianze di genere.
Di Martina Bonali
Ginestra Giovene, nata a Napoli nel 1911, si è laureata in Fisica a soli vent’anni, scrivendo una tesi di Astronomia. Sin dall’infanzia, è sempre stata molto brava nel nuoto, tanto che le è stato proposto di allenarsi per le Olimpiadi. Tuttavia, la giovane ha declinato l’offerta a causa della sua passione per la Fisica: Ginestra sognava, infatti, di diventare ricercatrice e di occuparsi dello studio delle stelle. Dopo la laurea, grazie all’assegnazione di una borsa di studio ottenuta dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), ha iniziato a frequentare l’Istituto di Via Panisperna – lo stesso di Enrico Fermi – dove, però, ha operato come semplice volontaria. Due anni dopo il suo ingresso nell’Istituto, è diventata la moglie di Edoardo Amaldi, uno dei ragazzi di via Panisperna, da cui ha preso, poi, il secondo cognome ed ha avuto quattro figli.
Giovene ha lottato con caparbietà per diventare ricercatrice, ma un grosso problema glielo ha impedito: il direttore dell’Istituto di Fisica era, ai tempi, Orso Mario Corbino, che non faceva mistero di “non volere donne tra i piedi”. È pur vero che, negli anni ‘30, la ricerca scientifica era riservata ai soli maschi, mentre alle donne venivano assegnati quei lavori noiosi e poco creativi che gli uomini non avevano voglia di fare. Difatti, entrata come precaria all’Istituto del calcolo del CNR nel 1934, Giovene si è vista attribuire proprio i compiti rifiutati da tutti i colleghi dell’altro sesso.
Poco tempo dopo, infelice della sua condizione, ha lasciato l’Istituto e si è dedicata alla divulgazione scientifica, accantonando così l’ambizione di diventare ricercatrice. Nonostante ciò, ha riscosso un notevole successo e ancora oggi viene considerata la prima divulgatrice scientifica italiana; ha scritto, inoltre, numerosissimi libri ed è stata ospitata in alcuni programmi della Rai.
Un’altra causa dell’abbandono del suo sogno è stata la famiglia creata con Edoardo: il figlio, Ugo Amaldi, testimonia che, a detta della madre, sarebbero stati proprio il felice matrimonio e la nascita dei figli a precluderle la carriera da ricercatrice.
Questa realtà, purtroppo, esiste ancora oggi: la famiglia rappresenta ancora un limite per la carriera lavorativa delle donne. Nonostante si cerchi di negare questa evidenza, lo stereotipo della donna che deve anzitutto occuparsi dei figli e curare la casa esiste ancora. Non solo: la ricerca scientifica ha aperto al contributo delle donne negli anni ‘70, anche se in maniera limitata, e la situazione è migliorata negli anni a seguire, ma ad oggi possiamo dire con certezza di non avere ancora superato le barriere preesistenti. Soprattutto per ciò che concerne la scienza, gli stereotipi di genere persistono ed è diffusa l’idea che gli uomini siano per natura più portati per le materie scientifiche, mentre le donne dovrebbero dedicarsi a quelle umanistiche.
Ginestra ci lascia nel 1994, regalandoci una lunga serie di testi di divulgazione – alcuni dei quali scritti in collaborazione con Laura Capon Fermi – in grado di spiegare concetti complessi di Fisica nucleare, Astronomia, Tecnica con parole semplici e comprensibili. Il suo contributo è stato sicuramente importantissimo, ma non si può non ricordare che il suo sogno era quello di diventare ricercatrice e che la sua ambizione è stata soffocata dalla disparità di genere.
Siamo entrati nel nuovo Millennio da venticinque anni: sarebbe ora di superare questi limiti mentali e pregiudizi anacronistici che pongono l’uomo un gradino sopra la donna e capire che non è il sesso a determinare le abilità di una persona né i compiti storicamente attribuiti a ciascuno da società patriarcali.