Quando la mente smette di ascoltare.

di Martina Bonali

Spiegare cosa si prova durante un attacco di panico non è semplice. A livello fisico, i sintomi sono molto forti: tra i più frequenti, si annoverano sensazione di soffocamento, vertigini – alla cui entità si associano eventuali svenimenti – tremori, freddo eccessivo o caldo, difficoltà respiratorie, nausea, paura di morire e una sorta di senso di distacco dalla realtà (derealizzazione) e da se stessi (depersonificazione). Quando questo corto circuito avviene all’interno della nostra mente, però, diventa molto complesso comprendere cosa sta avvenendo davvero. A dominare i pensieri di chi sta avendo un attacco di panico è, infatti, la confusione mista alla paura e raggiunge generalmente il suo picco nel giro di dieci minuti.
In effetti, gli attacchi di panico sono definiti proprio come “episodi di intensa paura e disagio”.
Sono reazioni del nostro cervello a situazioni di stress elevato: si pensi a un lutto, a un trauma o a problemi e cambiamenti importanti nella vita di tutti i giorni. Si possono manifestare nell’ambito di qualsiasi disturbo d’ansia, ma sono anche riconducibili ad altre problematiche psichiatriche, quali, per esempio, la depressione.

In Italia, ad oggi, ne soffre o ne ha sofferto il 2-5% circa della popolazione. In particolare, nel nostro Paese, tali episodi si manifestano maggiormente tra i 15 ed i 40 anni e soprattutto nelle donne. Nel mondo, le stime sono poco diverse, con un intervallo che va dal 5 al 13% di persone che hanno vissuto almeno un attacco di panico nell’arco della vita.

Cosa succede esattamente al cervello durante questi momenti?
Il fattore centrale che scatena l’attacco di panico è l’attivazione dell’amigdala, la parte del cervello coinvolta nella regolazione delle emozioni, in particolare della paura. Quando l’amigdala avverte il pericolo, reale o fittizio che sia, manda dei segnali di allarme al resto del cervello. A questo punto, il nostro corpo entra in “stato di massima allerta” e prende dei provvedimenti, che si traducono, infine, nell’attacco di panico. L’attivazione dell’amigdala si diffonde nell’ipotalamo, che, attraverso una serie di ghiandole, rilascia ormoni come adrenalina e cortisolo, responsabili dei sintomi fisici, e nell’ippocampo, che, invece, è la causa dell’ansia anticipatoria (“e se rimango sola in casa e mi sento male?”). Inoltre, vengono parzialmente disattivati i lobi frontali, responsabili di tutte le azioni che compiamo consapevolmente.
Avere un attacco di panico equivale quasi a perdere il controllo del proprio encefalo e tale stato si protrae fino a quando l’attivazione dell’amigdala non si sarà abbassata e la parte razione del cervello non avrà ripreso il comando.

Come si può aiutare una persona che ha un attacco di panico?
Supportare chi versa in una condizione di questo tipo, specialmente se si tratta di un caro, può essere difficile e lo è ancora di più se non si sa come comportarsi. Innanzitutto, è fondamentale ascoltare senza pregiudizi e, soprattutto, non minimizzare lo status di chi ne sta soffrendo. Frasi come “non è niente”, “non fare così” o “c’è chi sta molto peggio” andranno solo ad influire negativamente sull’altro, facendolo sentire ancor più inadeguato.
È, invece, auspicabile rassicurare la persona, dicendole, ad esempio, che non è sola; oppure portarla in un luogo tranquillo ed incoraggiarla a respirare in modo regolare. Esistono varie tecniche che consentono di calmarsi e di riacquisire il pieno controllo di sé: si pensi al rilassamento muscolare progressivo, che consiste nel contrarre per qualche secondo e poi rilasciare i muscoli del nostro corpo, partendo dai piedi. Ci sono anche pratiche respiratorie, che possono essere efficaci o meno a seconda della persona.
Se l’attacco non passa, si può provare a distrarre chi ne soffre usando i cinque sensi: si elencano cinque cose che si vedono in quel momento, cinque che si sentono, cinque che si toccano e via così. Focalizzarsi sul contatto con la realtà può aiutare a ridurre l’ansia e a ristabilire il controllo.

Se sei tu, invece, a riconoscerti nei sintomi sopra elencati, è consigliabile che ti rivolga ad uno psicologo, che elaborerà un programma clinico individuale e ti consentirà di risolvere il problema. Anche se sembra complicato, il supporto di un esperto porta sempre numerosi benefici.

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