di Giada Tinè
«Mi raccomando, dai da mangiare a Bolla mentre non ci sono!»
Flavio alza lo sguardo al cielo per un secondo.
«Sì, me l’hai già detto almeno tre volte, muoviti che fai tardi!»
«Hai ragione, ci sentiamo, ah, la ricotta in frigo è scaduta, non mangiarla».
Gloria afferra di fretta il suo cappotto nero e poco dopo sparisce dietro la porta d’ingresso. Suo fratello è rimasto a casa, da solo, vittima della sua naturale disponibilità: la ragazza l’ha infatti implorato di restare lì in sua assenza solo per prendersi cura del suo pesce rosso, Bolla, per il quale, secondo lui, nutre una morbosa ossessione.
Flavio decide di passare la mattinata nel suo studio, approfittando della solitudine per portare avanti la sua tesi di laurea. Dopo pranzo, alle tre in punto, come prevedibilmente ricordato per messaggio da Gloria, si alza svogliato dalla scrivania tappezzata di fogli volanti e si avvia verso il soggiorno, dove, tra due portefinestre, s’incastra perfettamente l’acquario della sorella.
L’acquario è alto e imponente, con le pareti in vetro racchiuse tra un basamento e un coperchio neri, lucidissimi. Potrebbe essere senza alcun problema dimora di decine di pesciolini, così spazioso e pieno di rocce e alghe decorative, ma invece al suo interno vive un solo essere, un grosso pesce dagli occhi sporgenti di nome Bolla.
Bolla è un pesce rosso di anomale dimensioni, dal corpo incredibilmente tozzo e che presenta due escrescenze enormi là dove dovrebbero esserci le branche. Trascorre le giornate a sguazzare nel suo acquario osservando il mondo esterno con la sua tipica espressione ottusa, provando ogni tanto ad esibire le sue doti contorsionistiche realizzando delle specie di acrobazie, che la maggior parte delle volte consistono nel girarsi poco meno di centottanta gradi su se stesso, provocando un certo allarme e disgusto in chi si trova ad assistervi.
Flavio si ferma davanti all’acquario, e fissa per un momento il pesce che fluttua a lui dirimpetto con gli occhi rivolti verso direzioni diverse. Per un momento si chiede come mai, tra tutti i pesci esistenti, Gloria ne abbia scelto uno del genere. Ma non trovando una risposta sufficientemente sensata alla sua domanda, decide presto di sorvolare sull’argomento e procedere invece nella sua missione: tra la vasta gamma di mangimi per pesci presenti sulla mensola adiacente, sceglie il primo contenitore che gli capita sotto gli occhi e ne svita l’estremità. Solleva poi il coperchio dell’acquario e lascia cadere i coriandoli variopinti nell’acqua.
Dopo aver richiuso il coperchio e aver rimesso a posto il barattolo, il ragazzo ritorna noncurante sui suoi passi, dirigendosi verso il suo studio.
«Questi fiocchetti li hai comprati a due euro al Carrefour, idiota».
Flavio si affaccia dai gradini che stava salendo e, riflettendo sul fatto che al momento in casa l’unico essere dotato di parola è lui stesso, fissa con sgomento il pesce dalla solita aria stordita.
Per qualche secondo l’unico suono udibile è il ticchettio dell’orologio della cucina. «Idiota a chi, scusa?!»
Il pesce dentro l’acquario rimane impassibile.
«Vedi altra gente in questa casa?»
Forse sto sognando, si dice Flavio, guardando attonito le bolle che si levano dalla bocca del pesce fino alla superficie dell’acqua, mentre quello si avvale di facoltà prima riservate alla sola specie umana.
«Senti, io sta roba non la mangio, che dici se invece ci facciamo un aperitivo?»
Flavio alza un sopracciglio, col naso arricciato in un’espressione a metà tra allibita e ripugnata.
«A-aperitivo?»
«Cavolo, sei proprio scemo, amico. Che cosa non è chiaro della parola aperitivo?» chiede il pesce, con incredibile tono ironico. «Vabbe’, sai cosa, ci penso da solo».
E così l’ingombrante Bolla si sporge dalla superficie dell’acqua e, con le due pinne, solleva il coperchio dell’acquario, riuscendo a farsi spazio per scavalcare il vetro e lanciarsi sul pavimento.
Flavio non sa bene di cosa essere stupito, se della sua capacità verbale, di quella di poter respirare fuori dall’acqua, o di quella di riuscire a sostenersi in posizione eretta sulla pinna caudale. Ma forse è meglio non soffermarsi su nessuna delle tre opzioni, pensa, per non rischiare di perdere completamente il senno.
Il pesce si dirige verso la cucina della casa camminando in modo pressoché analogo a quello umano, se non fosse che al posto dei piedi sfrutta la biforcazione della sua pinna.
Flavio lo segue in una sorta di stato ipnotico, senza dire una parola e scrutando le mosse di Bolla, che nel frattempo ha recuperato un sacchetto di patatine dalla credenza e dello Spritz sottomarca dal frigorifero.
Solo nel momento in cui entrambi sono seduti al cospetto del grande tavolo si apre una pseudo-conversazione.
«E quindi tu chi saresti?» chiede il pesce, masticando a bocca aperta le patatine, rivelando un palato completamente sdentato.
(Ci sono tante domande che, nel frattempo, si fanno strada nella mente di Flavio).
«Io-Io sono Flavio, il fratello di Gloria»
«Ah, sì, Gloria», risponde il pesce annuendo.
Un silenzio alquanto imbarazzante irrompe in cucina, stavolta interrotto solo dallo
scrocchiare delle patatine che Flavio ha deciso di mettere in bocca pur di mantenere un certo contatto con la normalità. In fondo questo è un aperitivo, un normale aperitivo, ma col pesce, si ripete.
«Perché parli?» decide di domandare a Bolla.
«Perché tu parli?»
«Be’, perché io ho sempre saputo parlare, fin da piccolo!»
«Ti sei risposto da solo, stupido umano», continua il pesce, ancora con tono
fastidiosamente sarcastico. E poi, ancora una volta, succede che entrambi rimangono in silenzio a fissarsi, anche se l’occhio destro del pesce sembra più interessato al frigorifero.
«Bene, uhm, Fabio-»
«Flavio»
«-Flavio. Che dici se invitiamo un po’ di amici?»
Il ragazzo gli rivolge un’espressione esasperata.
«Io-Io non credo sia una b-buona idea, sai…»
Quando la balbuzie di Flavio salta fuori, non è mai un buon segno. «E perché, scusa?»
«Perché non so quanta gente potrebbe trovare normale fare aperitivo con un pesce parlante…»
«…e poi Gloria sta per tornare», aggiunge Bolla, guardando l’orologio della cucina.
Ed effettivamente, mentre Flavio si trova inspiegabilmente a riflettere su come un pesce possa avere imparato a leggere l’orologio, nel giro di pochi secondi si sente la porta del garage aprirsi. Gloria ha finalmente fatto ritorno a casa.
Il pesce sembra turbato dall’evento, tanto da cominciare a scappare, sotto gli occhi di Flavio, verso il soggiorno (pinna caudale permettendo). Senza esitare, il ragazzo decide di rincorrerlo per il corridoio, in preda al panico totale.
«Ehi! Aspetta, stupido pesce! Rimani qua! Gloria non mi crederà mai se le dico-»
Ma il pesce si è già arrampicato sull’acquario, pronto a tuffarsi di nuovo in acqua.
«Proprio così! Gloria non ti crederà mai! Addio Fabio!» gli risponde, lasciandosi cadere al di là del vetro. Flavio, con gli occhi colmi di lacrime, si inginocchia e comincia a singhiozzare davanti a Bolla che, nel frattempo, ha assunto nuovamente le sembianze di un normale pesce in sovrappeso.
«M-mi chiamo Flavio!»
Ma mentre pronuncia queste parole con le mani che gli coprono il viso, Gloria appare sull’uscio della porta.
«Lo so che ti chiami Flavio, fratellino!»
Il ragazzo si gira e le corre incontro.
«Gloria, meno male che sei qui!» le esclama col fiatone e le guance umide, mentre lei lo guarda spaventata.
«Non sai che diavolo è successo in questa casa! Bolla ha cominciato a parlare, è uscito dall’acqua e ha camminato verso la cucina, si è preparato un aperitivo, ed ha anche-» Ma Gloria, con lo sguardo perplesso, lo interrompe frettolosamente.
«Oh, Flavio, ti avevo detto di non mangiare la ricotta scaduta!»