“La perfetta inesistenza che mina le sicurezze dell’uomo”

di Andrea Annibaletti

Si devono incontrare.

Guida. Fermo. La pioggia bagna la strada che riflette le luci della notte.

C’è un piacevole tepore nell’abitacolo. Guarda nei finestrini laterali lo scorrere d’immagini sciolte dalle gocce. 

Si chiede se il luogo dove nascono sia lontano o vicino nel profondo buio sopra la città. Ci deve essere un’altezza, una linea da cui iniziano a precipitare. Per lui uscire dal proprio pianeta vuole dire superare quella linea, divenire intoccabile dall’acqua.

La radio spenta gli permette di pensare. Sa benissimo che questo è rischioso, ma non riesce ad evitarlo. Le luci liquide dei vari “H24”, “Motel” e “888” non sono abbastanza importanti da accedere alla camera dell’attenzione.

Ma a dire il vero questa volta i pensieri sono genuini, sono ricordi; questa volta sono educati e non si azzuffano per apparire, cosa che lo fa diventare matto.

S’avvicina, intanto.

Non è solito a questo genere di cose. L’aveva conosciuta su una “Scorciatoia”. Come egli chiama con amaro sarcasmo i siti di incontro. 

Lei sembra bella.

Come lui, ama Basquiat e il liquore all’amaretto. Le piace la musica psichedelica e i mattoni da tre ore. Tutti dati del suo “curriculum”.

La singolarità di quella combinazione aveva fatto nascere in lui un dubbio insensato.

Fatto sta che ora gira la curva ed è arrivato. Non ha particolare ansia. Quest’ultima è già uscita di scena anni prima. Dopo aver scoperto che si può morire senza vivere.

Con la macchina si piazza nel minuscolo parcheggio vuoto e aspetta. A quanto pare non è ancora arrivata.

Spegne il motore e dà vita alla radio. “All the lonely people, where do they all come from?”. 

Spegne la radio e dà vita al motore. Strana come cosa: lei aveva detto di essere già lì.

Prende in mano il cellulare e controlla i messaggi. “Dove sei?”.

“Dove sei tu?” gli risponde.“

Nel posto concordato, ti mando la posizione”.

Lei si trova dall’altra parte della città. Lui ha sbagliato, ha frainteso.  Piuttosto confuso fa manovra ed esce dal parcheggio in lieve sgommata.

Prende la strada principale che principale non sembrava, a quell’ora. 

Ricontrolla la posizione ricevuta. Conosce bene quel posto. 

In apnea di pensiero raggiunge rapidamente la meta. La piazzola fronteggia un degradato “Tattoo Maker”. Si interroga, un solo istante, sulla natura della sua precedente disattenzione. Vive sempre, nelle viscere, una strana presenza.

Impiega una decina di secondi per decretare la totale assenza di vita nel luogo. 

Ora incomincia a spazientirsi. Afferra nervosamente lo smartphone per ri-ri-controllare “Mappe”.

La pacatezza che prima aveva caratterizzato il suo animo ora viene meno scoprendo il nuovo errore commesso. Decidendo di affidarsi alla conoscenza della città aveva finito per sbagliare isolato. 

La situazione comincia a diventare bizzarra. 

Questa volta non controlla neppure la casella dei messaggi. Inquieto e imbarazzato dal disagio che sta provocando all’altra persona, si immette rapidamente sulla strada.

Neppure mezzo chilometro ed è arrivato. Questa volta di fronte alla chiesa. Questa volta sicuro. Pronto per conoscere quell’anima così affine a lui, che la sua nebbia cerebrale sembrava voler tenere lontano.

Parcheggia la terza volta di un infinito. Scende dalla macchina ed inizia la ricerca. Fuori non anima viva. Di pub non nessuna traccia. 

Guarda il portale frontale del luogo sacro ed entra sicuro. Per il freddo sarà stata costretta a rifugiarsi, pensa.

Le panchine sono vuote. Solo una presenza vicino all’altare consente all’edificio di svolgere il semplice compito: proteggere la vita dal fuori mortale. Si distingue nel silenzio una cantilena che forse proviene da quella figura nera. 

“Darning his socks in the night when there’s nobody there. What does he care?”.

Ora basta. Esce dalla chiesa e una folata gelida di vento gli sferza la faccia. Guarda i messaggi. Nulla. 

Le scrive:

“Dove sei?? Sono qui, scusami il ritardo.”

Spegne.

“Cazzo ma che freddo c’è?!”.

Guarda con passività il suolo finché qualcosa di vivo non gli cattura l’attenzione. Una cimice. Una cimice rovesciata che sbraccia disperatamente per capovolgersi. 

Gli viene da sorridere pensando all’energia sprecata dell’insetto.

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