Quando il digitale trova casa nei borghi: il ritorno a un futuro sostenibile

Di Giacomo Terzi

Negli ultimi anni, il lavoro da remoto ha trasformato radicalmente il modo in cui viviamo, lavoriamo e studiamo.  Mentre per molti l’idea del “nomadismo digitale” significava viaggiare continuamente, nel 2024 emerge una nuova tendenza: i “digital nomads di ritorno”, professionisti che scelgono uno stile di vita più stabile e, sempre più spesso, decidono di trasferirsi nei più piccoli e remoti borghi italiani. In questi anni, migliaia di lavoratori stanno scegliendo piccole città e borghi storici come sede per il loro lavoro ibrido o totalmente remoto, riscoprendo la qualità della vita dei centri minori e contribuendo a dare loro nuova vita.

Mentre colossi aziendali come Amazon decidono di mettere un freno allo smart working, altre grandi imprese tecnologiche e multinazionali hanno ampliato i programmi di “remote work” per includere flessibilità di residenza a lungo termine. L’idea, nata come soluzione temporanea durante la pandemia, è diventata un elemento stabile delle politiche aziendali. In Italia, aziende come Enel e Eni hanno recentemente annunciato di voler supportare il lavoro remoto da zone rurali, offrendo assistenza per chi sceglie di allontanarsi dai grandi centri urbani.

La sfida delle infrastrutture

L’infrastruttura è stata a lungo un ostacolo per il lavoro remoto nei borghi italiani, dove spesso mancano servizi di trasporto efficienti, strutture sanitarie adeguate e connessioni internet affidabili. Nel 2024, però, il PNRR ha permesso di compiere notevoli passi avanti. Sono state installate connessioni in fibra ottica in molti piccoli centri, e in alcune aree più isolate si stanno sperimentando le reti 5G per garantire copertura stabile.

Alcuni borghi hanno creato “hub di co-working rurale” come punto di ritrovo e connessione per i lavoratori. A Civitacampomarano, in Molise, un piccolo paese che conta appena 350 abitanti, il comune ha inaugurato uno spazio di co-working gratuito in un ex convento del XVIII secolo, attrezzato con connessione ultraveloce e uffici condivisi. La risposta è stata sorprendente, e i posti disponibili sono stati prenotati in poche settimane da professionisti del digitale, giovani imprenditori e persino ricercatori.

Anche a Mantova ha aperto il primo hub di co-working: Hub Santagnese10. Lo spazio mira a creare una comunità di professionisti che possa crescere nel tempo, agevolando lo scambio, la condivisione e favorendo la crescita personale e professionale degli utilizzatori degli spazi e fruitori dei servizi. Hub Santagnese10, oltre ad essere un coworking nel cuore di Mantova, è uno spazio aperto e inclusivo a diverse tipologie di eventi, laboratori, workshop per favorire la diffusione di progetti culturali del territorio mantovano e non.

Hub Santagnese10 sorge in un ex convento, attualmente spazio di proprietà del Comune di Mantova, gestito dal Settore Cultura, Turismo e Promozione della Città, in stretta collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Giovanili. Dal 2014 il Comune di Mantova gestisce lo spazio insieme al Consorzio Pantacon grazie ad un accordo di collaborazione approvato nel 2014.

Hub Santagnese10, può essere considerato ungrande open space costituito da tre ampie sale passanti in comunicazione tra loro: la prima sala è destinata all’accoglienza, al ristoro-relax e alle riunioni, la seconda sala è utilizzata come spazio di coworking e terza sala ospita eventi e presentazioni.

Un impatto sociale e demografico notevole

Il ritorno nei borghi sta avendo un impatto tangibile anche sulla composizione sociale di questi centri. Nei piccoli comuni della Sicilia, come Sutera e Petralia Soprana, la presenza di nuovi residenti ha permesso il mantenimento di scuole, negozi e attività che rischiavano la chiusura. La “rinascita” di questi centri permette di invertire in parte lo spopolamento che da anni li affligge, riportando in auge le tradizioni e offrendo nuove opportunità alla popolazione locale.

Sul piano economico, il flusso di digital nomads e lavoratori remoti sta facendo crescere una rete di microimprese locali, che vanno dai servizi di trasporto a quelli di ristorazione. La richiesta di alloggi in affitto è aumentata, e molti ex-residenti hanno iniziato a ristrutturare immobili disabitati per renderli abitabili o per trasformarli in strutture ricettive. Il turismo stagionale si sta trasformando in una presenza stabile e sostenibile, che porta con sé consumi costanti e la possibilità di una crescita economica durevole.

Il futuro dei borghi

Il ritorno ai borghi offre una prospettiva interessante per il futuro del lavoro e per il benessere delle persone, che sempre più vedono nella vita rurale e comunitaria un antidoto alla frenesia delle grandi città. Questo nuovo stile di vita permette di ridurre il pendolarismo, migliorare il benessere psicofisico e, non ultimo, diminuire l’impatto ambientale degli spostamenti.

Il fenomeno è ancora in evoluzione, ma potrebbe rivelarsi una soluzione a lungo termine per creare uno sviluppo economico equilibrato e sostenibile. La domanda principale è se i borghi saranno in grado di mantenere servizi e infrastrutture all’altezza delle aspettative dei nuovi residenti, evitando un “effetto moda” e costruendo solide basi per un cambiamento duraturo.

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