Illustrazione di Greta Vaccari

Un’analisi di come la (cattiva) gestione delle emozioni degli uomini sia alla base del patriarcato e di come l’educazione emotiva sia fondamentale per sradicare il fenomeno.

di Andrea Bizzarri

Purtroppo uno spettro si aggira ancora per l’Europa (e per il resto del mondo): lo spettro del patriarcato. C’è chi pensa che sussistano differenze innegabili fra uomini e donne, frutto di secoli, se non millenni, di “gerarchie naturali”, predisposizioni genetiche, cause ormonali, differenze anatomiche più o meno importanti e chi più ne ha più ne metta. Niente di più falso: cause prettamente biologiche sono state oramai confutate. 

La verità è che tale “frutto” assomiglia a nient’altro che a una mela marcia, generata da presunzioni sconsiderate da parte degli uomini, che si sono così impossessati dei primati politici, economici e sociali. Nelle menti “bacate” vigono i dualismi natura/cultura – donna(madre)/uomo. I singoli soggetti sono definiti “gendered”: ci sono dei precisi standard (da seguire) in base al secondo cromosoma sessuale di cui dispongono. Come si vestono, come si comportano, come parlano, come si atteggiano sono aspetti che vengono designati già dalla nascita, se non da quando sono ancora degli incoscienti feti!

Troviamo subito degli esempi in alcuni ambiti lavorativi: le hostess, addette front office, commesse sono tutti termini che siamo abituati ad utilizzare nella maggior parte dei casi al femminile. Ma è nei lavori domestici che ciò è particolarmente evidente: sappiamo che alcuni uomini pensano che principalmente le donne si occupino di questi perché “a loro fa piacere” prendersi cura dei famigliari e dei parenti. Le donne vengono genderizzate, pensate adatte a compiti più semplici perché considerate più servili, adatte al contatto con il pubblico, più empatiche. Negli uomini, invece, la cosiddetta “mascolinità tossica” è un altro sintomo lampante del patriarcato: l’uomo deve essere dominante, capo, impassibile, freddo, coraggioso… peccato si parli del “coraggio dei pugni” e non di quello di esprimersi emotivamente.

In verità, entrambi i sessi dispongono delle medesime facoltà emozionali e delle medesime capacità cognitive. Solo che la società non riesce ancora ad accettarlo, a scostarsi dai sentieri tracciati millenni fa. Fortunatamente, l’esistenza di certe tribù, studiate da grandi antropologi come Margaret Mead, non intaccate dalla società moderna occidentale, funge da prova empirica. Se in alcune vige un fenomeno simile al patriarcato, in altre vediamo addirittura una realtà rovesciata rispetto alla nostra: gli uomini, che dall’occhio moderno verrebbero visti come “effemminati”, si mostrano empatici e vicini alla prole, mentre le donne, che da noi Occidentali sarebbero viste come “maschiacci”, agiscono in modo autoritario e più distanti emotivamente. Quindi capiamo che biologicamente non vi sono fattori che influenzano i comportamenti, ma sono semplicemente strutture sociali e credenze culturali.

Quindi per estirpare definitivamente il patriarcato, che si tramanda da secoli, bisognerebbe agire in primis nell’ambito emozionale. Partendo dai più piccini, l’educazione emotiva (a triplice fonte: scuola, famiglia e psicologi) è fondamentale per impartire giuste linee guida per la gestione delle emozioni, soprattutto per gli eccessi di rabbia, e per imparare a “sentire” l’altro da sé. 

“Children see children do” è una famosa frase che esplica quanto i bambini apprendono dagli altri, specialmente dalle figure più grandi di riferimento (non solo genitori, ma anche i fratelli, le maestre, gli allenatori, ecc.). “Sono come delle spugne, perché assorbono tutto” è una frase sentita frequentemente, ma che viene spesso ignorata quando si tratta di argomenti del genere. La fascia d’età in cui il cervello è più modellabile è quella compresa tra la tenera età fino e i ventun anni circa. Questa è la fase durante la quale le menti delle persone si formano e assorbono i comportamenti sociali. Quindi anche le dinamiche degli adolescenti sono fondamentali per prevenire il fenomeno. Ai giovani adulti dovrebbero essere offerte situazioni di confronto sul tema a scuola, ma soprattutto a casa. 

I contesti amicali di gruppo sono anch’essi di primaria importanza, per esprimersi liberamente; gli amici, dopotutto, servono anche a questo, sono un altro porto sicuro. Il ruolo del gruppo è fondamentale anche per riportare sulla retta via gli individui che presentano i primi sintomi di disturbo sociale nei confronti dell’altro sesso. Come trattano e come pensano la fidanzata, ma soprattutto come considerano le donne in generale, può essere letto in atteggiamenti che potrebbero già essere considerati i primi segnali di futuri atti permeati da manipolazione, possessività e quindi oggettificazione. I comportamenti che allarmano dovrebbero mettere in movimento gli altri amici per cercare di capire cosa non va e prevenire una situazione che potrebbe sfociare in fenomeni gravissimi.

Dunque il mondo delle emozioni funziona solo se fondato su un’idea di uomo e donna sana ed equilibrata, libera da stereotipi e “cattivi maestri”. Solo partendo da modelli adulti positivi e da un’educazione corretta alle emozioni riusciremo a costruire una società più giusta, fondata sulla valorizzazione delle differenze e delle peculiarità del singolo in quanto tale e non perché appartenente a un genere.

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