L’Iran non si accontenta di virus e batteri: torna ad utilizzare armi chimiche contro le studentesse.

di Greta Belleli

Le bombe atomiche costituiscono l’esempio più sconvolgente di come il progresso scientifico possa essere utilizzato come arma di distruzione. Ma non è l’unico: esperimenti su esseri umani o l’impiego di gas tossici e di armi chimiche sono solo alcune delle atrocità di cui l’umanità è responsabile. Atrocità talmente disumane che averle provate una volta dovrebbe essere stato sufficiente a non ripeterle. Ma così non è.

Al contrario, queste pratiche sono utilizzate ancora oggi per colpire obiettivi specifici. Questa volta ad essere presa di mira è l’istruzione femminile.

I primi segnali si erano avvertiti già a fine novembre, quando diciotto ragazze avevano accusato un malore. In seguito si erano verificati casi di giovani che avevano riferito di strani odori nei locali delle scuole – come di mandarini marci – di aver visto oggetti lanciati e di aver sofferto di emicranie, nausea e paralisi temporanea.

Le autorità hanno negato o minimizzato gli episodi, giustificandoli come “prese di panico”. Ma dopo che centinaia di studentesse nelle varie città dell’Iran sono state misteriosamente avvelenate negli ultimi tre mesi, un’ondata di rabbia e confusione ha invaso il paese.

Il 26 febbraio il Viceministro della sanità ha confermato l’intenzionalità degli avvelenamenti: “Alcune persone vorrebbero impedire alle ragazze di andare a scuola”. Così ha esordito, aggiungendo che le sostanze chimiche utilizzate sono disponibili in commercio.

Il governo accusa i “nemici” stranieri della repubblica islamica, che potrebbero aver compiuto gli attacchi per minarne la reputazione; altri invece ritengono che la responsabilità sia proprio dello stato, nel tentativo di vendicarsi per le proteste degli ultimi mesi. Altri hanno tracciato un parallelo con gli attentati degli anni 2000 e 2010 in Afghanistan.

Tale “progetto criminale” comunque non stupisce, essendo risaputo che un/a cittadino/a ignorante provoca decisamente meno problemi rispetto ad uno/a istruito/a.

Qualunque sia la ragione, alla fine dei conti a rimetterci sono, come sempre più spesso sta succedendo, giovani donne, la cui colpa è quella di pretendere il diritto di studiare e imparare. Ossia il diritto di pensare in modo libero.

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