I Rave party e la riforma “anti-rave”: era davvero necessario bandirli?
di Janiss Zanoni
Dopo la prima edizione avvenuta a dicembre, che aveva portato nelle strade migliaia di persone, il 22 aprile si è tenuto il secondo street rave parade a Bologna. Obiettivo della manifestazione: protestare contro il Governo e le sue politiche repressive in modo festoso, a suon di musica.
Il corteo è stato pacifico e presidiato dalle forze dell’ordine che non sono dovute intervenire. Erano diversi i carri a sfilare e numerose le frasi sugli striscioni contro la riforma anti-rave e in generale il proibizionismo.
I rave party sono feste in cui solitamente ci si incontra per ballare, sulle note di musica generalmente techno; li contraddistingue il fatto che non c’è una quota da pagare per l’entrata. Molti giovani lamentano di non potersi divertire per mancanza di denaro e queste feste ad entrata libera risolvono parte del problema.
Un altro aspetto caratteristico dei cosiddetti “free party” è il consumo di droghe. E questo preoccupa parecchio istituzioni e società civile. Tuttavia bisogna ammettere che queste sostanze sono molto diffuse, e sono comuni pure nei locali, dove ci dovrebbe essere più controllo. «Le persone assumono sostanze per provare piacere, non per uccidersi. Se dai loro strumenti per limitare i danni li usano. I rave consentono una maggiore autoregolazione rispetto ad altri eventi analoghi», afferma Elisa Fornero, l’assistente sociale responsabile del progetto Neutravel, un’iniziativa finanziata dalla regione Piemonte per intervenire fisicamente nei free party. Gli operatori si presentano ai rave e offrono il drug checking, cioè l’analisi delle sostanze. L’obiettivo è rendere consapevoli le persone di ciò che stanno assumendo. Il servizio è detto “integrato”, perché l’operatore che ha analizzato la sostanza invita l’interessato a riflettere su ciò che sta facendo; a volte questo funziona talmente che la sostanza non viene più assunta ma gettata. Inoltre nei luoghi dove si svolgono le feste sono presenti sempre strutture per il soccorso di chi accusa malori, gestite da personale sanitario specializzato.
Ultimo aspetto tipico dei rave party è che il più delle volte si svolgono senza alcun permesso, in luoghi come fabbriche abbandonate o vecchi capannoni. La storia dei rave inizia negli anni ’90 quando costituivano un ritrovo per tutti quelli che credevano nelle politiche anticapitaliste vicine all’anarchismo. Allora il senso dell’occupazione era legato alla volontà di riappropriarsi di ex luoghi pubblici, spesso privatizzati e piegati alle logiche di mercato. Ora il pubblico che li frequenta si è allargato e non tutti partecipano per un ideale o perché si sentono in un qualche modo esclusi dalla società in cui vivono. Alcuni vi si recano solo per il gusto del proibito e dell’illegale.
Il Governo però ha deciso di bandirli perché li ritiene pericolosi. Il Consiglio dei ministri del 31 ottobre scorso ha approvato il decreto legge n. 162, tra le cui misure vi è quella in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali. L’articolo 434-bis, introdotto dall’articolo 5 del decreto legge, afferma che “L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”.
Sono in molti a pensare che questa manifestazione sia demonizzata solo perché non controllata a livello istituzionale, ma che in realtà luoghi come gli stadi o le discoteche a volte possono rivelarsi ben più pericolosi. Lo scrittore Federico Di Vita ha partecipato a un rave di Viterbo, precisando che «stupri, parti e cani morti sono fake news» e affermando che il clima “era splendido”; “quella in cui c’ero io era una stupenda notte d’estate in cui si poteva ballare sotto più di trenta palchi diversi, il tutto senza pagare un euro”.
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