Quando la dipendenza prende il sopravvento, e il cervello degenera nell’inettitudine.
Di Andrea Bizzarri
Che bello! Oggi ho del tempo libero!
Dopo una giornata veramente stancante, mi è doveroso sostare sul letto a consumare. Sento quell’attrazione magnetica che mi conduce verso il cellulare. Non succede solo quando arrivo a casa da scuola, ma in ogni tempo morto, quando non ho nulla da fare, quando mi annoio; prendo in mano il cellulare e mi sparo una bella maratona di video brevi, è così semplice.
Come una mosca che ronza attorno ai liquami, ogni tanto sosta per cibarsene, e poi riparte celere in volo. Resta sempre nei pressi del putrido, ma assillata ritorna: l’odore che emana la costringe a stare nei paraggi e a allettarla nuovamente.
La tentazione di controllare il “dispensatore di dopamina” è forte, è difficile resisterle, è impellente, è lì pronta ad attendermi al varco.
Aspetta solo il mio minimo passo falso, la più piccola crepa nella forza di volontà, per poi prendermi in contropiede, e quindi costringermi ad un circolo vizioso.
L’aggeggio assuefà completamente chi sta guardando, lo trasforma in un’ameba, i sensi sono assenti o modificati, addirittura si arriva al punto di non sentire la persona che sta richiamando l’attenzione di quella immersa nel catrame digitale.
E no, non è che, quando ci risvegliamo dall’apnea cognitiva, è stato l’Eterno a farci uno scherzo, o la curvatura dello spazio tempo ha subito variazioni; semplicemente, la percezione del tempo si è dilatata, non ci si accorge nemmeno di quanto tempo sia effettivamente passato, esperienza simile ad un trip.
Si può quindi paragonare il telefono alla droga, leggera o pesante che sia, perché rientra in questa categoria; anzi, a pensarci bene, è addirittura peggio.
Mantiene il cervello sempre attento, ci imbambola per la mole insostenibile di informazioni nuove e continue. Questo attiva dei circuiti dopaminergici di ricompensa simili a quelli dell’alcol, creandone una forte dipendenza. Per non parlare del fatto che, dopo una sessione di scrolling compulsivo, dimentichiamo il 98% dei contenuti che abbiamo visto, una fregatura bella e buona. Ma che effetti ha?
Oltre alla riduzione dell’attenzione, peggiora praticamente tutte le facoltà cognitive, come la memoria, il linguaggio, la lettura e la scrittura (di dati nel cervello). Oltre a ciò, genera vera e propria ansia da separazione, il fatto di non poter usare il telefono, la cosiddetta nomofobia (no-mobile phone phobia) e la FoMo (fear of missing out), la paura inconscia di perderci anche solo un messaggino, un post, una storia, un invito ad una festa, un evento sociale, o, più in generale, di non sapere cosa stanno facendo gli altri.
Oltretutto, siamo abituati ad avere sempre a portata di mano un’arma efficace contro la noia, ma non è nemica, bensì necessaria per lo sviluppo cognitivo. Quando il cervello non ha stimoli esterni, se li crea da solo. È in questo momento che la creatività prende il sopravvento, il cervello entra in flusso continuo di ragionamenti e collegamenti, si distacca dalla realtà per creare.
È sufficiente pensare a quando eravamo bambini: quando ci annoiavamo, l’inventiva dominava il nostro tempo, prendevamo l’iniziativa nel fare cose più disparate, che non erano passate nemmeno per l’anticamera del cervello.
Ma, all’inizio del brano, penso che vi foste domandati perché ho usato il termine “consumare”?
Siamo arrivati ad un punto, in cui addirittura il nostro prezioso tempo viene capitalizzato.
Consumiamo, ci sfamiamo di contenuti multimediali, cibo spazzatura (come i dolcetti: uno tira l’altro!) per le nostre sinapsi.
Instagram, TikTok, YouTube o qualsiasi altra applicazione di questo tipo genera profitto quando, noi, inermi, gettiamo nell’oblio minuti, se non ore, che potremmo senza grossi problemi dedicare ad attività molto più benefiche alla mente e fruttuose al nostro io.
Se ci pensate bene, sembra quasi una distopia, e fa rabbrividire. Le multinazionali che dominano gran parte della massa, una buona fetta del popolo, rendendolo incapace di compiere ragionamenti, lobotomizzandolo, privandolo a poco a poco della facoltà di pensare e, allo stesso tempo, lo legano in modo strettissimo a un loro prodotto, rendendolo dipendente. Nulla da dire, sono stati proprio furbi, intelligenti, scaltri, accorti, geniali.
Sono stati talmente bravi, che la situazione di oggi è preoccupante: si vedono tanti giovanissimi che dispongono di uno strumento del genere. Ma la colpa non è loro, ma dei genitori; la loro pigrizia nei confronti di un’educazione corretta è più forte di loro, quindi si limitano a dare loro il telefono per “tenerli buoni”, un contentino per non dover intervenire attivamente al dispendio del loro tempo, in un’età durante la quale il cervello è in una fase delicatissima di sviluppo.
Quei genitori, ma non solo loro, noi tutti siamo succubi di questo sistema, siamo stati vinti dal consumismo e dal capitalismo più infimo: quello che ha come somma di denaro nientemeno che gli istanti della nostra vita.