Uno sguardo a Caligola: l’uomo più potente (ma anche il più folle) del suo tempo

di Giovanni Sassi Buttasi

Nemmeno un millennio e mezzo di storia riesce a cancellare il ricordo dell’antica Roma e dei suoi miti: le vicende del dominio dei cesari si raccontano ancora attorno al fuoco e i suoi eroi, così distanti da noi, rappresentano tutt’oggi una fonte d’ispirazione per l’uomo moderno.

Non basterebbe una vita intera per narrare le imprese di quell’Impero che Dante indicò come il migliore fra tutti.

Ciò nonostante, alcune curiose e divertenti vicende, note solo a pochi amatori, meritano d’essere qui riportate.

Siamo nel cuore dell’Impero, l’Urbe, nel periodo compreso tra il 37 e il 41 d.C., durante il regno dell’imperatore Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico, meglio noto come Caligola: è il terzo imperatore di Roma, appartiene alla dinastia dei Giulio-Claudii e ha ereditato un dominio solido e fiorente. Tuttavia, a causa del suo carattere volubile e dispotico, che porterà la sua vita ad un tragico epilogo, non pare all’altezza dei suoi due predecessori, Tiberio e, soprattutto, Ottaviano.

Sono tante le testimonianze che lo descrivono come arrogante, irresponsabile e, addirittura, pazzo: un comportamento che poco si addice all’uomo più potente del mondo allora conosciuto. Tra queste fonti, ce n’è una legata alle corse dei cavalli, la maggiore attrazione del tempo prima della costruzione dell’Anfiteatro Flavio.

È noto che chiunque se lo potesse permettere aveva l’abitudine di frequentare i circhi disseminati per tutta Roma al fine di assistere a questi eventi sportivi: tra i numerosi tifosi, si distingue il giovane imperatore, fervente sostenitore della scuderia dei Verdi.

Ogni scuderia rappresentava un determinato quartiere di Roma (il “sistema” era molto simile a quello del Palio di Siena): i Verdi avevano, a quel tempo, un cavallo talmente veloce da essere appellato Incitatus (rapido, per l’appunto). 

Animato dal chiaro desiderio di favorirlo, Caligola prende provvedimenti un po’ sopra le righe, per non dire folli: alla vigilia di ogni gara, vieta ogni tipo d’attività notturna nei quartieri di pertinenza della scuderia per non svegliare il cavallo. Non ancora soddisfatto, passa la notte al fianco dell’animale e ordina di giustiziare chiunque osi disturbarne il riposo.

Si racconta che, nel corso della sua carriera, Incitatus abbia perso solo una gara e che l’Imperatore, in quell’occasione, abbia punito l’auriga con una morte lenta e dolorosa.

Il giovane Caligola, che per questo cavallo nutriva una vera e propria devozione, ha ordinato che venisse eretta una villa ad uso esclusivo dell’animale, con tanto di servitù, scuderie in marmo e una mangiatoia d’avorio.

I pasti di Incitatus consistevano in fiocchi d’avena, pollo e frutti di mare: in diverse occasioni, il sovrano lo ha fatto desinare alla sua stessa tavola insieme ai senatori, costretti a brindare al cavallo (pena la morte, ovviamente).

È proprio durante uno di questi pasti che l’Imperatore manifesta la propria volontà di elevare Incitatus al rango di console e sacerdote, destando lo sgomento più totale nei presenti: l’episodio viene raccontato da Svetonio.

Non si sa se Caligola fosse serio a riguardo e di fatto molti sostengono che, dato il disprezzo che l’Imperatore nutriva per la classe senatoria, si sia trattato di uno scherzo teso a metterla in ridicolo: in questo modo, avrebbe dimostrato che persino un cavallo avrebbe potuto svolgere le stesse mansioni di un senatore.

Questo racconto testimonia come il glorioso Impero Romano sia stato anche padre di curiose e divertenti bizzarrie.

Che dire se non “…sono pazzi questi romani!”?

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