Alla scoperta del clown Jean Pierre Bianco.

Di Hajar Qacem e Gaya Panini

Il sorriso è considerato uno dei più potenti strumenti di guarigione e felicità.

E chi meglio di un clown può comprenderlo appieno? Oggi ci immergeremo nel magico mondo della clownerie: abbiamo il piacere di parlare con Jean Pierre Bianco. Attraverso la sua vivace personalità e la sua passione per l’improvvisazione, Jean Pierre ci illustrerà come il suo lavoro possa innescare emozioni positive e guarire anime.

L’intervista con Jean P. B. ci ha permesso di comprendere l’importanza dell’arte del clown nel mondo odierno. Attraverso la sua capacità di far ridere e di regalare momenti di spensieratezza, il clown riesce a portare benefici mentali e fisici alle persone. La risata, infatti, è una medicina potente che può guarire non solo il corpo ma anche lo spirito. Attraverso il suo lavoro, il clown dona gioia e speranza, dimostrando che il divertimento può diventare un prezioso strumento terapeutico.

Benvenuto, Jean Pierre Bianco! Siamo entusiasti di avere l’opportunità di parlare con uno dei clown più brillanti e amati del panorama artistico.

Grazie mille! È un piacere essere qui con voi.

Cominciamo subito dal principio. Come mai Pass Pass?

Pass Pass mi è cresciuto molto col tempo. All’inizio era collegato un po’ all’Accademia circense, ovvero al passing, che è una tecnica che si usa nella giocoleria. Poi pian pianino si è sviluppata, ha preso piede sul passeggero, meglio sul passaggio. Avendo navigato molto, nel senso che sono un essere nomade e combo con alcuni artisti, questo nome si è fortificato in quel modo. E poi suonava tanto bene, appunto, come Pass Pass, appunto pass dopo pass, si arriva in qualche luogo.

Cosa ti ha spinto ad abbracciare questa professione?

Questa professione mi appartiene da 35 anni. Sono nato a Parigi e lì ho frequentato la scuola di circo. Poi mi sono formato attraverso varie esperienze, Festival e formazioni varie, e da lì tutto ebbe inizio. Poi ho iniziato a lavorare qui in Italia. Ho iniziato a lavorare presso l’Ospedale Meyer, a Firenze in pediatrie internazionali con soccorso Clown. E da lì poi sono entrato nel giro, anche con Clown senza frontiere. E adesso sono qui a Mantova, dopo aver lavorato per 10 anni in teatro a Gardaland.

Come mai non hai lavorato in Francia e hai deciso di lavorare qua in Italia?

Perché sono un tipo nomade, nel senso che alcune volte cerco la vita.

Ho lavorato tanto in tutta Europa, compresa la Francia per un bel po’ di tempo. E poi per diversi motivi l’Italia mi ha accolto. Questo non vuol dire che io non ritorni nel territorio francese, o in altri territori, sia per fare formazione presso altri enti e sia per portare in giro i miei spettacoli.

Come sei entrato nel mondo dei clown?

Ho frequentato la Scuola di clown e l’Accademia di Parigi. E poi mi sono specializzato in questo settore, perché mi sembrava molto importante l’utilizzo della maschera più piccola al mondo, come il mio grande maestro ha definito il naso rosso.

Non è un tipo di Clown legato, ah devo far ridere per forza, devo fare il palloncino. Assolutamente no. È una clowneria molto contemporanea, che apre mille finestre in tantissimi luoghi.

Quali sono le difficoltà maggiori che incontri nel tuo lavoro e come le superi?

Beh, sono un clown, spesso incontro delle difficoltà, ma poi cerco di superarle proprio mettendo così allegria. Quello che mi è stato dato, è quello che io mi sono costruito negli anni. Quindi cerco sempre di vedere il lumicino acceso anche in momenti di difficoltà. E ben vengano, perché sono soprattutto quei momenti che ti danno un’ulteriore crescita personale e artistica.

Come ti prepari prima di ogni spettacolo?

La prima cosa che faccio è la visibilità della location, è molto importante. Poi, arriva il momento clou, è proprio quello legato proprio al trucco teatrale: è il momento che mi appartiene, tutto mio, molto intimo. In seguito inizio con una fase di training teatrale per l’allenamento, che appartiene ad alcuni attori. Non tutti lo fanno. Infine, c’è la preparazione fisica, per poi arrivare in scena in un certo modo.

Quando ti sei reso conto di essere diventato famoso?

Credo che non sia importante l’essere diventato famoso, ma credere fortemente in quello che si fa. Sono conosciuto senza ombra di dubbio, però ho messo sempre da parte la famosità, uso questo termine, la famosità. Mi piace, infatti, sempre sperimentare, conoscere sempre nuova gente e portare a tutti quello che è il mio bagaglio.

Ti dico una cosa, lo dico anche quando entro nelle scuole: a me non garba tanto il fatto di sentirmi dire “oh quanto sei bravo”, ma preferisco tantissimo sentirmi dire “oh quanto sei importante”. E questo fa un po’ la differenza.

Cosa consiglieresti a chi desidera intraprendere la carriera di clown?

Di sorridere sempre, di sorridere anche nei momenti più difficili. Perché riconosco, siete una potenza incredibile, siete un flash, siete veramente la meraviglia di questo mondo.

Quindi quando vedo alcuni che si abbattono per vari motivi, mi verrebbe di dire loro di raddrizzare la schiena e dire “Tutta la città mi appartiene”, perché veramente siete forti.

Grazie da parte del MyFermi.

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