Intervista a Davide Bregola, giornalista e scrittore, che ha deciso di condurre un corso di scrittura giornalistica alle effervescenti menti del blog
di Iulia Marasescu
Da ormai un mese, dietro le porte del Fermi si tengono gli incontri di scrittura giornalistica condotti dallo scrittore Davide Bregola. Abbiamo deciso così di cogliere l’occasione e porgli delle domande per ripercorrere la sua vivace carriera ed esplorare il complesso ma affascinante mondo della scrittura.
La ringrazio per aver accettato quest’intervista. Iniziamo con una domanda molto importante: com’è nata la Sua passione per la scrittura?
Sono sempre stato interessato all’arte. A Ostiglia, dove abitavo da bambino, ero affascinato dai pittori, anche locali, e mi perdevo nell’immaginazione di provare a scrivere brevi testi. Quando scrivevo, sentivo di avere uno stato d’animo che mi faceva stare bene. Inoltre amavo ascoltare le persone: molti di loro mi raccontavano della II guerra mondiale… ricordo ancora oggi molte di quelle storie. Il potere della narrazione, sia orale sia scritta, anche inconsapevolmente, mi ha sempre avvolto e già allora sentivo come fosse fatto apposta per me.
Ha mai seguito dei corsi di scrittura per coltivare al meglio la Sua passione?
Quando avevo all’incirca 20 anni, i corsi di scrittura non esistevano, così come non esistevano i manuali di scrittura che conosciamo oggi. Solo qualche anno dopo, quando già scrivevo narrativa, mi è capitato di seguire uno scrittore affermato, che mi permetteva di ascoltare i suoi discorsi e ogni tanto mi permetteva di fare le mie riflessioni. I miei “corsi di scrittura” sono stati gli incontri che organizzavo con un’associazione culturale fondata da me e da altri amici e grazie alla quale invitavamo narratrici e narratori di cui avevamo apprezzato i libri. Anche i libri che leggevo mi formavano come fossero dei veri e propri “corsi di scrittura”. Ero appassionato di Pavese, Buzzati, Verga, Svevo… Ero ancora alle scuole superiori e per me imparare a memoria, per esempio, poesie da “Lavorare stanca” di Pavese era un modo per apprendere un ritmo e una forma.
Quali sono state le Sue prime opere?
Le mie prime opere pubblicate erano stampate su una fanzine fotocopiata che regalavamo in paese. Avevo 20/21 anni e scrivevo su giornaletti che ci passavamo tra amici artisti; io scrivevo di musica e di personaggi punk. Poi nel 1995 ho fatto parte di un’antologia di giovani scrittori, edita da una piccola ma famosa casa editrice e da quel momento è stato tutto in salita: hanno iniziato a invitarmi ai festival e nelle biblioteche in giro per l’Italia e piano piano mi sono creato un pubblico.
Il Suo lavoro è molto particolare, poco comparabile con i classici posti fissi. Qual è il suo lato migliore?
Il mio lavoro è bellissimo perché mi invita ad avere una disciplina artistica e ad avere la mente sempre suggestionata dal mondo e dalla vita. Mi obbliga a rimanere aggiornato su fenomeni editoriali, musicali, artistici in generale; ma è un obbligo piacevole. Non sento mai di “non capire” di cosa sta parlando un quindicenne o un ottantenne. Conosco i fenomeni sociali più recenti, ma comprendo anche ciò che c’è stato prima. Se qualcuno mi chiedesse di parlare di “Crips” e “Bloods” (in Italia i Rossi e i Blu) riuscirei a farlo, perché ne conosco il fenomeno, le origini, eccetera; se mi dovessero parlare di Nonno di Panopoli riuscirei ad orientarmi senza problemi. Questo per dire che la professione di giornalista e la passione per la scrittura ti invitano ad approfondire il mondo.
E quello peggiore?
Diciamo che questo tipo di scelta professionale diventa anche una ragione di vita, uno stile, una modalità di esistere. Se devo trovare il lato “peggiore” direi che in qualche modo si sta sempre lavorando. Inoltre questo tipo di lavoro, per sua natura, è sempre abbastanza precario. Se una persona non riesce ad essere serena all’interno di una quotidianità instabile, non ce la fa ad avere la lucidità necessaria per continuare. Ma se, come me, vede la precarietà come uno stimolo continuo, allora anche questo aspetto non crea problemi di sorta.
Quali difficoltà ha incontrato durante la Sua carriera?
Beh, come tutti i lavori strani, devi guadagnarti giornalmente il permesso di poter fare ciò che ami. L’apparente libertà coincide sempre con una grande responsabilità e una grande disciplina. All’inizio tutti provano a dissuaderti, per farti optare su scelte meno personali, lavori più stabili, più “normali”, “più” . Ma la caparbietà e l’impegno alla fine ripagano sempre. Penso che le difficoltà ce le procuriamo da soli e spesso cediamo immaginando ci siano difficoltà insormontabili.
Ci sono argomenti in particolare che preferisce trattare nei Suoi articoli o libri?
Ho sempre scritto recensioni, interviste, ritratti letterari, reportage, articoli dedicati alla didattica. Nella maggior parte dei casi sono articoli di “Terza pagina”, che significa articoli di argomento culturale. Mi piace molto fare i reportage e i resoconti, raccontare quel che ho ascoltato e visto, farne una narrazione. Mi piace pedinare uno scrittore o un artista e scrivere quel che ho visto, sentito, percepito. Possono sembrare dei racconti e sento che sono gli articoli che mi piacciono di più. In narrativa, invece, mi piace raccontare storie ambientate in un territorio ristretto. Un territorio che conosco bene, nel quale girano i personaggi che mi fanno venire voglia di raccontare una storia. Nel 2019, per esempio, ho raccontato la mia avventura sopra una casa galleggiante sul fiume Po. Ci ho passato 4 stagioni e ho raccontato cosa avveniva in quel piccolo posto. Mi piace raccontare i margini, perché i media non li raccontano o, se provano a raccontarli, ne danno sempre un resoconto falsato.
Come mai ha deciso di diventare formatore e tenere incontri con i ragazzi, come sta facendo al momento nella nostra scuola?
Dal 2003 tengo laboratori di scrittura per adulti e ragazzi, in scuole, enti pubblici e privati e biblioteche. Ne ho organizzati di molto sperimentali, tipo costruire romanzi di gruppo, narrazioni corali, raccolte di racconti. Il motivo principale per cui svolgo questo tipo di attività è perché vorrei trasmettervi il piacere della lettura e della scrittura. Scrivere, pensare in modo narrativo, sono attività utili per qualsiasi lavoro si voglia intraprendere. Pensate anche solo alla capacità di fare un buon colloquio di lavoro o di riuscire a scrivere bene un proprio curriculum o una presentazione per farsi notare in una selezione professionale. Ecco, io sento il dovere di lasciare alle altre persone un po’ di quello che altri hanno insegnato a me attraverso lo studio o la frequentazione diretta.
È un gesto molto nobile da parte Sua. Ultima domanda: c’è un consiglio in particolare che darebbe ai giovani aspiranti scrittori e giornalisti?
Sì, consiglio di trovare alcuni riferimenti letterari e giornalistici. Per me sono stati importanti dei maestri, degli scrittori e dei giornalisti di cui apprezzavo in particolare le idee e lo stile. Posso fare alcuni nomi: Cesare Zavattini, Goffredo Parise e Luigi Meneghello per la narrativa e la saggistica italiana. Per il giornalismo Gianni Brera, Ettore Mo, Pietro Citati. I loro libri li ho letti, riletti, studiati, sottolineati, imitati. Per chi scrive è importantissimo avere una specie di bussola letteraria, eleggendo a maestri dei professionisti, delle persone che sentiamo vicine o verso le quali idealmente vorremmo tendere.
Grazie mille, Professore!