di Miriam Brunelli
30 aprile
– Lui voleva soltanto che quella cosa la smettesse di tormentarlo. Non mi ha ascoltato, volevo solo aiutarlo. Non rivelerò niente finché non lo avrò visto in faccia.
Fu questo che dissi mentre la polizia cercava di capire cosa Lui avesse fatto. Ovviamente non lasciarono che il mio desiderio si avverasse, volevano che parlassi, dovevano capire. Ero sconvolta tanto quanto loro, ma non volevo assolutamente lasciar loro la possibilità di manipolarmi: quella era anche la mia storia, il problema che ormai mi stava assillando dal 26 aprile. Furono i giorni più brutti della mia vita, stavo solo cercando di aiutare…
Il pomeriggio che seguì lo trascorsi alla stazione della polizia; in quel posto non ero a mio agio, all’esterno pareva un edificio imponente, costruito per far sì che tutte le storie orribili che vi arrivavano rimanessero confinate al suo interno. Appena mi fecero entrare sentii un nodo alla gola, non respiravo, mi assalirono mille voci infernali. Le pareti si facevano piccole, strette; le voci ardevano dal desiderio di poter ingoiare avidamente anche la mia storia come se fosse il loro piatto preferito. Volevo gridare, fino a far svanire tutto quanto nel nulla più assoluto.
La mia sofferenza venne interrotta dalla comparsa di un poliziotto che mi condusse in una stanza ancora più opprimente. La sua figura però mi dava una sensazione completamente diversa da quella che circondava l’edificio: non era troppo giovane, sembrava avesse circa quarant’anni, e pur essendo solo a metà della sua esistenza, a giudicare dal suo aspetto stanco, sembrava che nulla lo potesse più sorprendere. Non era altissimo, aveva molte rughe sul volto che lasciavano trasparire la sua notevole esperienza. Quella figura non pose fine alla mia agitazione, la sua presenza mi stava sovrastando completamente, avrei voluto scomparire. Mi sudavano le mani, il mio battito aumentava sempre più, credevo che il mio cuore potesse esplodere da un momento all’altro. Pensavo alla mia famiglia, a quella di Chiara, a come avevo fallito, a cosa Lui era riuscito a fare per porre fine al suo tormento. Stavo per crollare, dovevo parlare assolutamente, volevo che tutto questo finisse in un istante.
– Abbiamo visto i messaggi che ti sei scambiata con l’incriminato… – disse il poliziotto, con le parole che ritenne più opportune per dare inizio alla mia resa, e continuò – … anche quello in cui ti dichiara di aver ucciso Chiara Gualzetti.
I suoi occhi erano come ghiaccio, non riuscivo a sostenere il suo sguardo intimidatorio. Quindi fissando il pavimento chiesi – Lui dove si trova in questo momento? Fatemi parlare con lui!
– Non può ricevere visite, soprattutto da te.
Era fatta, mi aveva in pugno. Non riuscivo più a sopportare la sua presenza che si era ormai amalgamata con la stanza, sembrava proprio lui quello che guidava quelle voci assetate di tragedie.
– Ora dimmi, con precisione, che rapporto c’era tra i due.
Fu questa domanda a lacerarmi il cuore. Da una parte sentivo la mia anima tendere leggera verso una libertà possibile, dall’altra il tradimento abissale verso non uno, ma ben due amici. Non risposi subito, mi ci vollero un paio di minuti per riordinare le idee che ormai mi giravano all’impazzata nella testa, poi l’espiazione cominciò.
– Molte persone, quando si conoscono da tanto tempo, tendono a definirsi come fratelli o sorelle: ecco, noi eravamo il contrario. Con un fratello ci puoi andare d’accordo, ma non hai mai la garanzia che non vada a fare la spia dalla mamma appena fai una mossa falsa. Quando si è giovani si considera la vita come un’avventura in cui puoi essere il protagonista, oppure una semplice comparsa. Io rappresentavo una comparsa: erano loro i veri protagonisti, ma nessuno dei due voleva il primato sull’altro. Chiara era una ragazza sensibile, fin troppo. Era lei che si occupava delle altre comparse quando non erano al 100% e sapeva ribaltare una giornata storta e farla ritornare perfetta. Le sono molto grata per tutto quello che ha fatto. Il suo compito più importante era quello di mantenere l’equilibrio.
Dopo aver detto queste parole vidi un luccichio brillare negli occhi del mio ascoltatore, che non aveva più detto una parola da quando era iniziata la mia resa. Ed ora era proprio lì, davanti a me, che analizzava con precisione ogni singola parola. Non si trattava più di una di quelle tante tragedie da ingoiare, questa se la voleva gustare a pieno. Ripresi a parlare, dopo aver tirato un respiro di sollievo.
– Era Lui il problema. Di solito nelle fiabe c’è sempre il protagonista in lotta contro un antagonista, che tenta di ostacolarlo nel raggiungimento dei suoi scopi. Nel loro caso era molto più complicato: Lui e Chiara andavano d’accordo, nessuno era contro Chiara. Lui era una persona veramente affascinante dal mio punto di vista, qualcuno come Lui non si trova spesso. Non bisogna farsi l’idea sbagliata, non era una persona violenta. Parlava poco e mai a sproposito, si poteva definire come la mente del gruppo, o meglio, si potevano definire le menti del gruppo.”
Il poliziotto che non perdeva una parola rispose immediatamente – Suppongo tu intenda dire che l’incriminato e Chiara erano le menti del gruppo.
– Sbagliato, erano Lui e i suoi demoni.
Il mio ascoltatore scoppiò in una fragorosa risata.
– Cosa ne vogliono sapere dei ragazzini di demoni? La smetta di perdere tempo e mi racconti come stanno le cose veramente. Si rende conto che una sua coetanea, nonché amica, è stata accoltellata con una brutalità che nemmeno la persona più tormentata al mondo potrebbe usare su una creatura innocente come lei?
Fu in questo momento che notai che stava perdendo il controllo: tutta quella sicurezza che m’impauriva all’inizio era solo una maschera, oppure questo omicidio gli stava a cuore? Non era l’unico che stava cercando risposte. Ma io volevo solo aiutare. Non credevo che lo avesse spinto a commettere un omicidio, ma d’altronde cosa ci si può aspettare dal demonio?
– Sono seria, non sono una persona che cerca di fare ironia in questi momenti. Ho commesso un errore e non mi permetterò di ripeterlo. Le sto solo esponendo la mia versione dei fatti. D’altra parte, è stato lei stesso a raccomandarmi di essere il più accurata possibile, quindi non voglio usare giri di parole se non sono necessari.
Non emise fiato. Si era reso conto di avermi mostrato una parte di sé che non si affidava alla ragione ed era proprio quello in cui speravo: nessuna persona completamente razionale potrebbe trovare la risposta a questo assassinio. Ma anche nelle fiabe più cupe c’è sempre qualcosa di vero.
– Per far sì che riesca a comprendere al meglio, le racconterò tutto ciò che ritengo più opportuno di ogni singolo giorno che precedette l’omicidio.
26 aprile
– Questo giorno non mi sembrava diverso dagli altri. La maggior parte del pomeriggio la passavo con gli amici. Non era un gruppo molto grande, dovevano esserci solo le persone necessarie, e Lui ne aveva prestabilito i ruoli. Oltre a me, a Chiara e a Lui c’erano Gianluca, il mio vicino di casa, che conosco da sempre, e Raffaella. Nel gruppo Gianluca rappresentava quello con lo spirito più avventuroso, impavido, coraggioso e avventato: il tipico ragazzino pieno di lividi e sbucciature sui gomiti. Raffaella invece era furba e acuta: non era altissima e portava un paio di occhiali che Gianluca rubava sempre e quotidianamente rompeva causando molti litigi tra le famiglie, ma mai ledendo la loro inseparabilità. A lei era stato affibbiato il compito di manipolare le persone: ogni volta che Lui aveva un piano in mente, lei doveva procurarsi tutto il necessario utilizzando mezzi anche illegali. Bologna è una città molto grande, nessun poliziotto sarebbe riuscito a scovarci, e noi eravamo oltretutto un gruppo ristretto. A Lui servivano soltanto i migliori.
Il poliziotto, intanto, si fece sempre più interessato e disse – Abbiamo già interrogato sia Raffaella che Gianluca, ma non sono stati d’aiuto, non volevano parlare senza averLo visto prima. Sei rimasta solo tu, quindi. E mi sorge una domanda più che spontanea: se i diversi ruoli dei componenti del gruppo erano stato assegnati da Lui, qual era il tuo?
La sua esperienza mi spaventava, dovevo stare attenta, non potevo permettermi di essere manipolata. Il mio compito non era ancora finito.
– Diciamo che ero la mediatrice. Come può aver notato eravamo un gruppo a cui non importava assolutamente della legge. Come ho già detto, Bologna è una città grande, c’erano veramente poche possibilità di essere scoperti per le minime infrazioni, ma qualche volta la fortuna non era dalla nostra parte. Serviva quindi qualcuno che riuscisse a tirarli fuori dai guai. Per il Suo bene, quello di Chiara e del gruppo.
La polizia si era informata, era a conoscenza del fatto che mio padre fosse un carabiniere e quindi che io potevo approfittare della mia conoscenza della legge per rigirarla a nostro favore. Ma il poliziotto m’interruppe – Lui era la mente, Chiara era la spalla su cui poter piangere e a cui poter affidare i propri problemi, Gianluca era la forza bruta, Raffaella era l’imbroglio e tu era il salvavita. Eravate dei mocciosi ben organizzati.
Sbagliava. È solo stato grazie a Lui se eravamo riusciti a creare un gruppo così perfetto. Era Lui la mente, il genio.
– Ritornando a quello che dicevo prima, non era un giorno diverso dagli altri. Non avevamo dei piani particolari per quell’estate, dovevamo semplicemente incontrarci per decidere. Eravamo d’accordo di trovarci in una piazzetta non troppo lontana da casa di Chiara, perché il padre era molto protettivo e poteva chiamarla in ogni momento. Era un luogo angusto ma riusciva sempre a farmi sentire al sicuro. Fin da bambini ci trovavamo là, ci divertivamo con i giochi più sciocchi, portavamo anche i nostri genitori e organizzavamo tanti picnic in compagnia. Poi è successo qualcosa, cambiò tutto e fummo abbandonati a noi stessi. Stavamo diventando degli adulti e i nostri genitori non vedevano più la necessità di giocare con noi. Alcuni ci rimasero molto male, altri, invece, sembrarono non essere per nulla stupiti. Forse è stato proprio in quel periodo che iniziò il nostro declino, lento ma travolgente. Quel giorno per primi arrivarono Gianluca e Raffaella, verso le sedici, seguiti a ruota da Chiara. Ci accorgemmo subito che qualcosa non andava, mancava Lui. Non aveva mai fatto ritardi, non era il tipo da fare ritardi. Gli concedemmo ancora dieci minuti. Passarono in fretta e non c’era ancora nessuna Sua traccia. Chiara fu la prima a preoccuparsi, ma in cuor nostro la pensavamo tutti come lei. Subito ci recammo a casa Sua per cercarlo; era un’abitazione modesta che non lasciava spazio all’immaginazione, era piccola con poche finestre e un giardino minuscolo occupato principalmente da un orto in cui c’era solo dell’insalata marcia. La cancellata era vecchia e arrugginita. Suonammo il campanello e nessuno rispose. Provammo a chiamarlo al telefono anche se sapevamo che lo usava solo in caso di emergenze. Nessuna risposta. Gli occhi di Raffaella erano lucidi, Gianluca iniziava ad irritarsi mentre Chiara cercava di calmarlo. Ci dividemmo per andare a cercarlo con l’idea di chiamarci appena qualcuno scopriva qualcosa. Lo trovai solo verso le diciotto. Era al cimitero, fermo impalato davanti ad una lapide vuota. Lo chiamai più volte ma non ricevetti risposta, mi dovetti avvicinare. Ancora nulla. Non sembrava più Lui, i Suoi occhi erano spenti, non intravedevo neanche uno spiraglio di luce. Era come se Lui non fosse lì. Lo scossi e solo allora ricevetti dei segni di risposta: era frastornato, non sapeva dove si trovasse o come ci fosse arrivato. Gli spiegai tutto quello che avevamo fatto per cercarlo ma sembrava non interessargli. Era ancora assorto da quella lapide vuota.
Feci una pausa per bere un sorso d’acqua. Non mi serviva ma volevo dare un po’ di tregua all’anima del poliziotto che mi sembrava turbata.
– Mi sta dicendo che quel ragazzo è stato per due ore a fissare quella lapide vuota? Non vorrei essere affrettato nel chiederlo, ma ha mai dato segni di problemi psicologici?
– Se intende fino a quel momento, no, non ha mai dato problemi di quel genere. Come ho detto era un ragazzo tranquillo e taciturno. A volte aveva delle idee strane e magari pericolose, ma nessuno di noi le aveva mai associate a un problema psicologico. Gli piaceva veramente tanto, quasi come se fosse ossessionato, la serie tv intitolata Lucifer, ma non credevo che questo fosse rilevante. Dopo l’avvenimento di cui le ho appena parlato, discussi anche con gli altri componenti del gruppo, soprattutto con Chiara: mi disse che alcune volte gli era capitato di essere completamente assorto nei suoi pensieri da non riuscire ad interagire con gli altri, ma la storia del cimitero non convinceva nessuno. Non ne facemmo parola con i Suoi genitori, era un avvenimento legato al nostro gruppo ed era lì che doveva rimanere.
Il poliziotto sembrava non ascoltarmi più, era completamente immerso nei suoi pensieri. Sicuramente si stava chiedendo come mai un ragazzino fissasse una lapide vuota. All’inizio ero confusa anche io, ma Lui aveva una particolarità che avevo sempre trovato interessante: non faceva mai nulla senza un valido motivo.
27 aprile
Ormai era passata quasi un’ora dall’inizio del mio interrogatorio. Ero molto stanca perché nei giorni precedenti non ero riuscita a dormire molto. Continuavo a fare degli incubi, notte dopo notte, uno peggio dell’altro, ma in questi incubi non rivedevo mai i volti dei miei compagni. Erano piuttosto delle figure sfuocate che, nonostante mi parlassero, non riuscivo a sentire. Ne parlai sia con Gianluca che con Raffaella, che però non sognavano cose simili. Avevano anche loro degli incubi causati dallo shock ma non erano mai tremendi quanto i miei. Dovevo prenderlo come un segno? Lui stava cercando di dirmi qualcosa dalla prigione? Avevo sempre cercato di riflettere in maniera razionale, ma con quello che ci era successo mi stava risultando sempre più difficile. Ripresi la mia confessione dopo una breve pausa dove non riuscii a toccare cibo. Troppo dolore stava riaffiorando.
– L’avvenimento della lapide fu solo l’inizio. Non capivamo come potesse essere successa una cosa del genere proprio a Lui, che era uno dei più codardi del gruppo. Proprio per questo affidava a Gianluca le faccende pericolose o quelle in cui serviva il coraggio che Lui non aveva. Il giorno seguente a quell’episodio non fu meno spaventoso e preoccupante. Quella volta decidemmo di trovarci a casa Sua per evitare che si spostasse rischiando la vita, dato che non si ricordava cosa fosse successo il giorno precedente. Lo trovammo steso sul letto che dormiva tranquillo. Sicuramente, ci dicemmo, aveva avuto una notte travagliata, quindi lo lasciammo dormire mentre il resto del gruppo si spostò nel salotto piccolo e buio.
Finalmente il poliziotto m’interruppe – Noi della polizia abbiamo contattato i suoi genitori, i quali erano entrambi in viaggio di lavoro durante i giorni che precedettero l’omicidio.
Non aveva torto, i Suoi genitori non erano mai a casa, per questo ci impegnavamo a tenergli compagnia. Ne soffriva veramente tanto, non aveva altri parenti che potessero stare con Lui quindi, il più delle volte, quando non c’erano, passavamo intere giornate a casa Sua o in Sua compagnia. Non volevamo che il demone prendesse il sopravvento.
– Esatto. Ci tenevamo veramente tanto a Lui, era come se fossimo un branco di lupi. I lupi quando hanno un compagno ferito gli portano del cibo e lo riscaldano. Era lo stesso che stavamo cercando di fare con Lui: tenerlo al caldo, al sicuro. Si vede che qualcosa andò storto. Dopo poco tempo si svegliò, scese le scale con un passo irriconoscibile e appena lo vedemmo in volto sbiancammo tutti. Aveva la stessa espressione di quando lo avevo trovato davanti alla lapide, era irriconoscibile: gli occhi vuoti, i capelli ancora arruffati dal letto e i vestiti stropicciati che davano al corpo una forma che sembrava non appartenere a questa terra. Non facemmo in tempo ad alzarci per scuoterlo o per fargli sentire che gli eravamo vicini quando subito inveì dicendoci di uscire da casa Sua. Non era in sé dalla rabbia, non sapevo assolutamente cosa fare. Istintivamente ci voltammo tutti a guardare Chiara che era scattata in piedi e stava per abbracciarlo. Lei lo faceva sempre, era la sua specialità e il suo compito: mantenere l’equilibrio del gruppo, ma anche degli stessi componenti. Non potevo credere al modo in cui Lui rispose a quel gesto. La schiaffeggiò con una forza che non gli apparteneva assolutamente dicendo che non aveva bisogno di nessuno, né di noi né dei suoi genitori.
Mi fermai. Mi faceva male il petto a ricordare questi avvenimenti ma soprattutto a doverli raccontare a qualcuno per poter espiare le mie colpe. Il poliziotto continuava ad insistere che tutto ciò nasceva da un problema legato alla psicologia. Voleva che parlassi con lo stesso psicologo a cui anche Lui era stato affidato ma ero sicura che anche dopo aver partecipato ad una seduta non sarei riuscita a scoprire niente di più su dove lo tenessero. Dovevo parlargli, dovevo capire perché lo aveva fatto, perché ero stata io quella a cui aveva inviato il messaggio, quello in cui mi diceva di aver ucciso Chiara. Perché. Questa parola ormai mi stava tormentando, pronunciata da quella moltitudine di figure che popolavano i miei incubi. Loro continuavano a chiedermi perché.
28 aprile
Stava tutto per avere una fine. La mia purificazione ormai era quasi giunta al termine, ma allora perché non mi sentivo ancora bene? Il mio errore era ancora presente e mi stava lacerando. Non credevo che il mio interrogatorio potesse essere d’aiuto alla polizia, e ormai mi rimaneva poco tempo prima di crollare definitivamente. Ripresi lentamente la mia narrazione, le parole uscivano timide dalla mia bocca – Arrivò il giorno fatidico. Eravamo tutti ancora molto turbati dal Suo comportamento del giorno precedente, non riuscivamo a spiegarci come mai avesse picchiato Chiara. Come anche lei ha detto, era una ragazza innocente e nessuno voleva farle del male. Per la prima volta non riuscì a portare a termine il suo compito. Non era riuscita a mantenere l’equilibrio, né quello di Lui né il suo. Lo andò a cercare perché voleva capire cosa avesse sbagliato. Quando Lui voleva organizzare uno scherzo o uno dei suoi piani strambi ma pur sempre divertenti, se qualcuno non capiva o non riusciva a portare a termine il suo compito, non si arrabbiava mai. Adesso che ci penso non lo avevo mai visto arrabbiato, per questo ero rimasta pietrificata, Lui avrebbe spiegato con molta calma come rimediare a chiunque sbagliasse, aiutandolo anche. L’errore di Chiara, che poi si sarebbe rivelato fatale, fu quello di voler affrontare quella situazione in modo usuale. Lei voleva soltanto capire il perché delle Sue azioni. Non sapevo cosa fare, dovevo fermarla. Ormai Lui era cambiato, non era quello che conoscevamo, non ci si avvicinava neanche lontanamente.
– La notte tra il 27 e il 28 aprile feci uno strano sogno: ero in una stanza completamente vuota, le pareti non erano alte, infatti, quando mi alzai, rischiai di sbattere la testa. La particolarità era che questa stanza era completamente inondata di luce, non riuscivo a trovare la sorgente da cui provenisse tale luce che mi abbagliava da ogni direzione. Lo vidi. L’angolo buio nella stanza illuminata. La parte più debole che poteva essere facilmente attaccata, da qualsiasi cosa. Mi avvicinai e tentai di trovare la fonte dell’oscurità per poi richiuderla con le mie stesse mani. Di colpo caddi sulle ginocchia. Ero debole, la pressione che emanava era tremenda. Non riuscivo a respirare. Dall’angolo sbucarono delle forme di vita che non riuscivo bene a distinguere, erano magre fino all’osso, brutte da far venire il capogiro e continuavano a ripetere con le loro voci taglienti che la fine era vicina, che stava per finire tutto. Mi svegliai di colpo ed era già mattina. Non gridai, non emisi un fiato, quello era il terrore puro. Vedevo a malapena e faticavo a distinguere i suoni. Cercai di calmarmi e iniziai a contarmi le dita delle mani…
Il poliziotto m’interruppe – Capisco, le persone nei sogni hanno sempre delle dita in più e non provano dolore.
– … esattamente, può sembrare una cosa infantile ma ero sicura che facendo così sarei riuscita a liberarmi dal tormento. Ero completamente sveglia e pensai subito a Chiara: non c’era tempo, stava per finire tutto e io dovevo proteggerla. Era il mio compito, ma tutto questo andava oltre al nostro gruppo insignificante, non c’era da scherzare. La vita di due persone era in pericolo. Non chiamai la polizia, perché si prova sempre a risolvere i problemi con le proprie forze. Voi avreste frainteso tutta la situazione oppure non mi avreste neanche dato ascolto. Corsi il più in fretta possibile verso casa Sua, dove non trovai anima viva. Non ci potevo credere, avevo fallito, non ero riuscita a fermarlo. Chiara non era lì. Cercai anche a casa di Chiara, ma ormai era tardi, chiesi ai suoi genitori dove si trovasse e loro dissero che era appena uscita con Lui. Sentii qualcosa spezzarsi, non era il mio cuore, bensì il mio animo. Non aveva più senso combattere, avevo fallito miseramente, qualcuno sarebbe morto e io non ci potevo fare niente.
Non riuscivo più a continuare. Faceva troppo male. Lui, Chiara, i loro genitori, il nostro gruppo. Era finito, la fine era ormai giunta.
– Erano le 9:35 quando ricevetti il Suo messaggio. Ho ucciso Chiara. Queste parole mi fecero male, peggio che essere trafitti da un coltello. Chiara non c’era più, il nostro gruppo era morto con lei.
Non dovevo più aggiungere altro, da lì in poi i ricordi facevano solo male. Il poliziotto mi ringraziò – So che è stata dura, tu puoi aver fallito in quel momento, ma con questo interrogatorio ci hai molto aiutato a capire il perché delle Sue azioni. Hai aiutato anche loro, Chiara adesso saprà qual è stato il suo errore e potrà riposare in pace. Lui però dovrà pagare per quello che ha fatto, il demone pagherà e resterà intrappolato nel suo corpo, anche se devo ammettere che questa storia non mi convince molto. Tu hai fatto tutto il possibile.
Non lo stavo più ascoltando. Non era necessario. Tutto quello che diceva non avrebbe potuto cambiare nulla di come mi sentivo. Una misera colpevole che ha fallito, il più grande fallimento possibile. Non avevo portato a termine il mio compito, avevo infangato il mio stesso ruolo. Il ruolo che Lui mi aveva affidato e adesso queste voci mi avrebbero perseguito fino alla mia morte. Avrei fatto mio il Suo tormento.Ci tengo a sottolineare che, nonostante quanto scritto sia frutto della mia immaginazione, la storia si basa su un evento di cronaca realmente accaduto, ossia l’omicidio di Chiara Gualzetti, avvenuto il 28 giugno 2021 in provincia di Bologna. A ucciderla è stato un suo amico e coetaneo, Simone Purgato. Quest’ultimo scrisse un messaggio, subito dopo aver commesso l’omicidio, ad una amica, la quale è la narratrice e il personaggio principale di questo mio racconto.