Quello che a volte non vediamo
di Anonimo
Ecco, di nuovo quel suono, la sveglia, beep-beep-beep.
Continuo a dormire, il vuoto e poi ancora…
Di nuovo, beep-beep-beep.
Ce ne è un’altra, sapevo che non mi sarei alzato alla prima.
Insieme alla sveglia c’è sempre quel peso sullo stomaco, è da un po’ che c’è, ma cerco di ignorarlo. Non trovo la forza di alzarmi, vorrei stare nel mio letto, il piumone è caldo, starei qui da solo
ma poi arriva la mamma, dice qualcosa con la sua voce squillante e poi
mi toglie le coperte.
La sensazione è come quella di una doccia fredda, mi ha svegliato definitivamente,
non posso più riaddormentarmi, continuare il sogno di prima,
ormai sono obbligato ad alzarmi ma non trovo ancora la forza,
così conto fino a tre e mi alzo. Prendo le prime cose che trovo.
Non mi interessa come mi vesto: il mio unico obiettivo di oggi è tornare a letto
scendendo le scale di casa, che è piena di foto dove sorrido da piccolo.
Non mi ricordo neanche uno di qui momenti.
Mi sono svegliato tardi e mia madre continua a rimproverarmi perché non riuscirò a fare colazione. Esco, papà sta ancora dormendo, vabbè̀ lo vedrò stasera.
Vado alla fermata del bus; so già che aspetterò venti minuti prima che arrivi e,
quando finalmente arriverà, sarà pieno. Odio stare appiccicato ad altre persone.
Stranamente, ho aspettato solo quindici minuti, però come avevo sospettato sono in mezzo alle persone.
Almeno ho le cuffie, così la mezz’ora che devo fare in bus è meno pesante.
Nel mentre, vedo tutti fare conversazione; c’è una mia compagna di classe:
potrei parlarle, chiederle se anche lei pensa che la prof. di matematica parli arabo,
lamentarmi delle troppe verifiche, ma starò qui in piedi.
Arrivo finalmente a scuola, tutti parlano, io sto vicino al solito gruppo di “amici”
che non si accorgono neanche quando non ci sono, ma almeno sto con qualcuno.
Le ore passano, non seguo, sono troppo stanco, ormai la scuola è solo un peso.
Il mio pensiero principale ultimamente.
Tra un’ora e l’altra scopro che gli altri vanno a pranzo fuori, non mi hanno invitato. Ma non ci sarei andato, e loro lo sapevano, capisco.
Finita anche l’ultima lezione, esco.
La fitta allo stomaco è pesantissima, non riesco più ad ignorarla.
Dopo cinque ore solo con me e i miei pensieri è fortissima.
Torno a casa e voglio solo dormire, non voglio studiare.
Mi risveglio alle nove, ho saltato la cena: meglio, non ho fame.
Guardo un po’ Netflix e provo a riaddormentarmi,
ma non ci riesco, continuo a pensare:
penso che non ho amici.
Penso che non ho mai avuto una fidanzata,
penso che neanche il calcio mi diverte più;
poi continuiamo a perdere, sono pessimo.
Penso che non c’è nessuno che mi vuole, che non combinerò mai niente nella vita. Sono la delusione dei miei genitori: sono stato bocciato,
sono un disagiato.
Non riesco neanche più a parlargli, ormai non mi vorranno più neanche loro.
Forse sono io la ragione per cui litigano?
Potrebbe essere così.
Non riesco proprio a dormire, i pensieri mi riempiono la testa, non respiro bene. Gira tutto, sto piangendo, io non piango mai, meno male che i miei non mi sentono. Non saprei cosa dire.
Quando sono riuscito a smettere di piangere, erano le quattro di mattina.
Odio parlare con me stesso; e se lo odio io, pensa gli altri.
Capisco perché sono da solo.
Riesco a dormire due ore.
Ma al risveglio sono distrutto.
Non capisco niente, faccio tutto come ogni mattina,
ormai vado avanti per inerzia.
Oggi papà si è svegliato prima di me, sto un po’ con lui, poi parto.
Non riesco a smettere di ripensare alla sera prima,
dal a furia di pensare mi è venuto il mal di testa:
spinge, picchia, irrompono le voci
che dicono che sono un fallito
una delusione,
inutile,
so che è la verità.
Nel mentre, sono arrivato al passaggio a livello.
Le sbarre sono chiuse, le voci sempre più forti.
Il peso sullo stomaco insostenibile.
Voglio solo fermarle, ma non ci riesco: più penso, più peggiora la situazione.
Poi il colpo di genio, quando vedo il treno.
Mi tolgo lo zaino, alla mamma è costato tanto.
E mi butto.
In quel frangente ripenso:
ripenso a mia mamma e a mio papà
che non ho salutato come si deve;
ripenso ai miei compagni
di cui, se forse mi fossi impegnato di più, sarei diventato amico;
ripenso al me bambino:
non ho potuto esaudire i suoi sogni.
Scusatemi tutti, ma io così non riuscivo più ad andare avanti.