ESSERE UMANI DI SECONDA CLASSE

Iraq: il nuovo codice dello status personale rende le donne, essere umani di “seconda classe”.

di Camilla Furini

Nel corso del XX secolo le donne irachene hanno dovuto affrontare numerose guerre e rivolte sociali, che hanno segnato completamente la loro posizione sociale. Solo nel 1980 venne riconosciuto loro il diritto di voto, anche se già in precedenza potevano partecipare in modo limitato alla vita politica. Negli anni ‘90, però, iniziarono ad essere introdotte alcune leggi che ridussero la libertà delle donne, in particolare imponendo restrizioni sul modo di vestire e limitando i diritti al lavoro, all’istruzione e alla famiglia, al lavoro, all’istruzione e alla famiglia. Queste restrizioni si inserivano però in un contesto in cui, fino a pochi decenni prima, erano state approvate diverse leggi a protezione della donna. L’Iraq, infatti, possiede da tempo una legge sullo “status personale”, ovvero una legge che regola i rapporti familiari e civili, come il matrimonio, il divorzio, la custodia dei figli e l’eredità. Fino a poco tempo fa questa norma era regolata dalla legge civile n.188 del 1959 che, pur non essendo paritaria, era lo stesso considerata una delle leggi più progressive del mondo arabo; infatti, fissava età minime per il matrimonio e dava alle donne alcuni diritti nel matrimonio e nel divorzio.

A febbraio 2025 è stato però approvato un emendamento che ha dato la possibilità di scegliere tra due leggi da applicare: la legge civile del 1959 e il Codice di Status Personale Ja’afari. All’apparenza, dare la possibilità di scegliere la legge da applicare sembra una forma di libertà per la donna, ma in realtà sono entrambe delle leggi a favore dell’uomo.

Il Codice Ja’afari è stato composto dalle autorità religiose. Ciò implica che nasce da un’interpretazione religiosa del diritto, che dimostra una visione “tradizionale” dei ruoli familiari: si vede dunque l’uomo al vertice e la donna subordinata a lui.

Tale legge è stata approvata definitivamente il 27 agosto 2025. Con essa vengono ulteriormente modificati i rapporti tra uomo e donna nel contesto familiare. In particolare, viene stabilito che l’uomo ha pieni diritti sul matrimonio e che ha quindi la possibilità di divorziare o di modificare le regole legali dell’atto senza il consenso della moglie o addirittura senza nemmeno informarla. Questo può rovinare la vita alla donna, in quanto può andare incontro a conseguenze terribili, come la perdita della casa o della tutela dei figli; quest’ultima è un ulteriore problema, in quanto dopo i sette anni i figli vengono automaticamente affidati al padre. La legge impone, infine, che la moglie possa sì chiedere di inserire nel contratto matrimoniale il divieto di poligamia o di diritti nel divorzio, ma se l’uomo non dovesse rispettare queste regole non ci sarebbe alcuna conseguenza. Insomma, il pensiero della donna risulta inascoltato ed inutile.

Ci sono alcune organizzazioni per i diritti umani, come HRW (Human Rights Watch) e la AMAN Women’s Alliance (Alliance of Mediterranean News Agencies Women Alliance), che sostengono che questa legge normalizzi le disuguaglianze di genere favorendo l’arbitrio maschile e la violenza domestica, che neghi alle donne la possibilità di scegliere per la loro vita e che contraddica la Costituzione irachena, la quale vieta le discriminazioni familiari. La co-fondatrice di AMAN Women’s Alliance, Nadia Mahmood, ha evidenziato che questa legge riflette una visione patriarcale, in cui la donna non è un individuo autonomo, ma solo un oggetto subordinato all’uomo.

Un esempio recente riportato da HRW riguarda Ghazal H, una donna che si sposò sotto la legge del 1959, quindi in un contesto più protettivo nei confronti della donna. Dopo il matrimonio la donna iniziò a subire violenza domestica e tradimenti, di conseguenza chiese il divorzio, che ottenne nel 2015. L’ex marito venne condannato a quattro mesi di reclusione, ma dieci anni dopo il divorzio (nel settembre 2025), decise di applicare il Codice Ja’afari al vecchio matrimonio, senza avvisare o chiedere il consenso alla donna. Ghazal, al momento, sta vivendo con la costante paura di perdere il figlio.

Secondo HRW ed altri attivisti, il Codice Ja’afari non è solo una questione di diritti delle donne, ma anche una questione nazionale e sociale, che potrebbe portare alla normalizzazione della violenza e della disuguaglianza.

Le donne in Iraq stanno perdendo tutti i diritti conquistati negli ultimi 60 anni, e l’Iraq stesso sta ormai diventando un modello di società in cui la disuguaglianza dei sessi è normale e ovvia, anche sulla carta.

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