Il conflitto israelo-palestinese è radicato in questioni politiche, territoriali, culturali e religiose nate nel XX secolo e la risoluzione di questo contrasto rimane una delle sfide più complesse e delicate della politica internazionale.

di Hajar Qacem

Il XXI secolo e il muro

Nel 2000 salì al potere un altro politico israeliano poco propenso ad accettare accordi con i Palestinesi: Ariel Sharon. Scoppiò così la seconda Intifada, questa volta armata.  In Cisgiordania Sharon fece erigere un muro per dividere Israele dalla Palestina e difendere il popolo israeliano dagli attacchi dei kamikaze, ma dando vita a una vera e propria apartheid. Il muro ha creato numerosi ostacoli alla vita dei Palestinesi e allo sviluppo del paese.

Nel 2002 USA, ONU, RUSSIA e UE predisposero un piano di pace, la ROAD MAP, che prevedeva la costituzione di uno stato palestinese indipendente entro il 2005.

Nel 2012, con la risoluzione 67/19 dell’Assemblea delle Nazioni Unite del 29 novembre 2012, con 138 sì, 8 no (Usa, Canada, Repubblica ceca, Israele, Panama, e tre piccole nazioni dell’Oceano del Pacifico – Isole Marshall, Palau, e Nauru) – e 41 astenuti, l’ONU ha riconosciuto alla Palestina lo status di STATO OSSERVATORE NON MEMBRO delle Nazioni Unite. Ma la condizione dei Palestinesi non è cambiata e Israele non ha mai restituito i territori occupati illegalmente.


Dal 2007 Hamas ha preso controllo de facto della striscia di Gaza. In risposta
Israele ha rafforzato il blocco dei flussi economici e sociali che avviene nel territorio (Israele continua a operare la chiusura quasi totale dei valichi di frontiera e degli accessi via mare e aerei).
Oggi a Gaza oltre l’80% della popolazione vive grazie agli aiuti umanitari, mentre il tasso di disoccupazione sfiora il 50%. Da allora si sono alternati gli attacchi di Hamas ad Israele alla sempre più invasiva occupazione israeliana.

Illustrazione di Viola Romanelli

Perché una guerra così violenta proprio ora?

Sembrano diversi i motivi del conflitto scoppiato per opera di Hamas il 7 ottobre 2023: 

1.gli attacchi di Hamas sarebbero stati effettuati per far saltare l’accordo tra Arabia Saudita e Israele sostenuto dagli USA;

2. la data dell’avvio dell’operazione alluvione al-Aqsa sarebbe stata scelta perché coincidente col cinquantesimo anniversario dello scoppio della guerra arabo-israeliana del 1973;

3. l’offensiva militare di Hamas sarebbe una risposta alle azioni provocatorie delle forze israeliane svolte nella Moschea al-Aqsa** e alle violenze perpetrate nei campi dei rifugiati in Cisgiordania, in particolare le ultime nel campo di Jenin, risalenti allo scorso luglio.

Non mancano poi altri attori in questa complessa e drammatica situazione: l’Iran è alleato di Hamas, a cui fornisce armi e di cui sostiene gli attacchi anti-occidentali; Hezbollah (un’organizzazione sciita libanese) ha aperto fuoco contro Israele nel territorio di confine, controllato dalla Siria e occupato da Israele (Shebaa Far).

Israele, a seguito dell’attacco di Hamas, ha formalmente dichiarato guerra per la prima volta dalla guerra dello Yom Kippur del 1973, avviando una controffensiva denominata “operazione Spade di Ferro”.

Si può sperare in una soluzione?

I crimini di Hamas sui civili israeliani hanno sconvolto il mondo. La situazione della popolazione palestinese, allo stremo, è drammatica. Più di 5.087 i morti palestinesi, 2.055 gli israeliani. Senza contare gli ostaggi.  

Mercoledì migliaia di persone appartenenti alla comunità ebraica si sono radunate fuori dal Campidoglio di Washington D.C, sede del Congresso statunitense, per protestare e chiedere un cessate il fuoco nella guerra tra Israele e Hamas. 

Molti israeliani, come la cantante Noa, accusano Netanyahu di aver inasprito i toni e provocato quanto sta avvenendo.

“Israeliani e palestinesi: l’unica soluzione sono due Stati” aveva detto lo scrittore israeliano Amos Oz.

Quanti morti ancora dovremo contare prima che si possa giungere a un accordo giusto per entrambi i popoli?

** La sera del 5 aprile le forze di sicurezza israeliane hanno fatto irruzione nella moschea poco dopo la fine della preghiera della sera. Hanno lanciato granate assordanti e picchiato coi calci dei fucili i palestinesi presenti per il Ramadan. Il 26 settembre le provocazioni si sono ripetute per mano di coloni israeliani.

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