In Giappone esistono delle agenzie che aiutano le persone a sparire
di Camilla Furini
Sparire dalla propria vita non è solo un pensiero che affiora nei momenti di crisi. In Giappone è una realtà diffusa, con un nome preciso e un’industria che la rende possibile. Di fronte alla pressione sociale, alla paura del fallimento o alla vergogna, c’è chi sceglie di tagliare ogni legame e sparire davvero, nel modo più concreto possibile.
In Giappone sono nate delle agenzie che consentono alle persone di “evaporare” e fuggire per sempre dalla propria vita. Questo fenomeno è stato osservato anche in altri paesi, come gli Stati Uniti, la Germania, la Cina, il Regno Unito e la Corea del Sud.
Sono aziende che pensano a tutto: traslochi in zone remote, nuovo lavoro, nuovi documenti e anche un nuovo volto tramite chirurgia estetica. Questo desiderio di sparire è definito johatsu, che significa letteralmente “evaporazione”. Il termine johatsu è stato utilizzato per la prima volta negli anni 60: veniva utilizzato per indicare tutte quelle persone che decidevano di fuggire dai matrimoni, piuttosto che affrontare tutte le procedure formali di divorzio.
Oggi è un fenomeno che riguarda tutte quelle persone che decidono volontariamente di scomparire, senza lasciare alcuna traccia di sé. Abbandonano casa, lavoro, famiglia e amici, senza dare alcuna spiegazione o preavvisi. Le motivazioni sono varie: gravi problemi economici, fallimenti personali o professionali, episodi di violenza domestica, debito dal gioco d’azzardo, stalking, disagi nella sfera intima, o il peso insostenibile delle aspettative sociali. C’è anche da considerare che il Giappone è un paese in cui prevalgono valori antichi e rigidi: basti pensare al Bushidō, ovvero il codice morale dei samurai che imponeva di vivere e morire con dignità, coraggio e lealtà. Inoltre, la scelta del johatsu eviterebbe un ulteriore peso economico alla famiglia: non sono pochi quelli che, magari dopo qualche anno, finiscono per suicidarsi, tanto che il Giappone ha uno dei più alti tassi di suicidi tra i Paesi dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Tutto questo ha sicuramente portato i più fragili e a chi si sentiva di aver fallito, a pensare che scomparire fosse l’unica vera via di uscita. Lo johnatsu è quindi considerato da alcuni come una rinascita e una seconda possibilità.
Per questo motivo sono state fondate delle imprese specializzate nell’aiutare chi vuole scomparire. Il loro nome è yonige-ya, che significa “fuggire di notte”. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, questi sono dei servizi legali, l’importante è che venga lasciato tutto in ordine dal profilo giuridico. Offrono traslochi notturni rapidi, aiuto per trovare un nuovo lavoro e delle sistemazioni lontane e isolate dalla vita passata.
Le persone che decidono di evaporare, prediligono le zone più remote, ad esempio verso il monte Fuji. Altre però decidono di non lasciare la loro città: a Tokyo ad esempio vi sono quartieri che sono adatti ad accogliere queste persone, e uno di questi è San’ya. Un altro quartiere in cui è possibile vivere, addirittura senza documento di identità, è Kamagasaki a Osaka.
I prezzi sono molto alti. Un tipico yonige-ya potrebbe addebitare dai ¥ 50 000 (450 $) ai ¥ 300 000 (2600 $) per i suoi servizi. Il costo varia in base a determinati fattori: la quantità di beni posseduta, la distanza, se si tratta di un trasloco notturno, se sono inclusi bambini e se il cliente sta sfuggendo agli esattori. Alcuni, visti i costi, scompaiono da soli, senza l’aiuto di queste agenzie: esistono infatti delle guide pubblicate che possono aiutare a fuggire.
È stato stimato che circa tra gli 80 e i 100 mila individui, scelgono di sparire ogni anno. Nel 2015 ad esempio, in Giappone la polizia ha registrato la scomparsa di 82 mila persone, delle quali 80 mila sono state ritrovate nel giro di un anno. Invece, durante il periodo noto come Lost Score, che va dal 1991 al 2010, circa 100 mila persone sono sparite ogni anno.
Ma perché è così facile sparire? In Giappone se una persona non si registra nel nuovo comune di residenza, le autorità non possono sapere dove si trova. Inoltre, le leggi sulla privacy sono rigidissime: nemmeno i familiari delle persone scomparse possono richiedere di tracciare, per esempio, le carte di credito dei parenti più stretti. I dati personali invece possono essere consultati dalla polizia solo in casi penali (le sparizioni sono considerate casi civili). Per questo, a differenza di quanto accade in Occidente, in Paesi come Regno Unito o Stati Uniti dove esistono database nazionali dedicati, in Giappone non esiste nulla di simile.
Parallelamente c’è un mercato opposto: quello degli investigatori privati, specializzati nel ritrovo degli “evaporati”. Molti di questi vengono ritrovati, ma migliaia decidono comunque di non tornare mai alla vita precedente. Queste agenzie, spesso li sorprendono in locali di pachinko (giochi d’azzardo) e in alberghi economici. Altre volte invece li scoprono dopo il suicidio.
Del fenomeno degli johatsu si parlò in un film del 1967, “A man vanishes”, diretto da Shohei Imamura. Il film racconta la storia di un uomo fuggito, senza lasciare alcuna traccia e senza dire una parola né al padre né alla fidanzata.
Più di recente se ne è parlato anche in un libro scritto da Léna Mauger e Stéphane Remael, una giornalista e un fotografo francese: “The Vanished: The ‘Evaporated People’ of Japan in Stories and Photographs”. Questo lavoro ha richiesto ben cinque anni di indagini, che sono iniziate nel 2008. I due sono riusciti ad entrare in contatto con un traslocatore notturno degli anni ‘90, Hou Hatori. L’uomo si occupava di traslochi, e tutto iniziò quando una donna gli chiese di aiutarla a sparire. L’economia giapponese era in un periodo molto difficile, e dunque questo fenomeno iniziò a crescere a dismisura. Ma cosa c’entra l’economia? Il fatto che il Giappone stesse affrontando un periodo difficile portò diverse persone ad indebitarsi a causa dell’aumento delle tasse e dei prezzi, o a perdere lavoro.
Durante le indagini, Mauger, ha ascoltato storie di molteplici persone sulle cause di questo fenomeno: donne con dei figli che hanno deciso di evaporare perché si sono innamorate di un altro uomo o addirittura ragazzi che si sono sentiti un fallimento dopo non aver passato un esame all’università.
Un investigatore che si occupa di ritrovare questi individui rivelò alla BBC che la vergogna e il fallimento sono una delle cause maggiori del johatsu. Inoltre, secondo quanto affermato dal detective, alcuni se ne vanno per non affrontare problemi sentimentali: “Una coppia sposata non parla delle proprie emozioni. È uno degli aspetti negativi della società giapponese. Normalmente, si separerebbero, ma cosa fanno quelli che non vogliono affrontare il divorzio? Se ne vanno. Non possono dirsi la verità”.
Marco Delbene, Professore Associato del Dipartimento Italiano di Studi Orientali/ISO della Sapienza di Roma, ha provato a dare una lettura di questo fenomeno, affermando che “sono fenomeni diversi ed eterogenei, che si manifestano per una molteplicità di ragioni, spesso diverse da individuo a individuo. Non è possibile individuare una spiegazione unica e lineare valida a giustificare fenomeni così articolati e complessi. La pressione sociale è certamente un elemento che concorre a scatenare simili fenomeni, ma è difficile avere prove incontrovertibili che permettano di affermare che essa sia il fattore primario”. Inoltre, osserva Delbene, non si tratta di fenomeni esclusivi del Giappone: è un fenomeno diffuso su scala mondiale, ma in Giappone è semplicemente più difficile rintracciare i fuggiti per i motivi già citati. In Italia, che ha circa la metà della popolazione giapponese, risultano oggi quasi 62 mila persone scomparse secondo i dati del Ministero dell’Interno. Negli Stati Uniti, invece, secondo il NamUs (National Missing and Unidentified Persons System), ogni anno spariscono circa 600 mila persone. Cuzzocrea, psicologa e psicoterapeuta italiana, ha affermato che “si tratta di individui che, a causa di una profonda vergogna, scaturita da un fallimento lavorativo o personale, decidono di cambiare identità. In Italia, almeno per il momento, non ci sono studi sul fenomeno, solo i dati dell’agenzia del ministero dell’Interno che censisce le persone scomparse, compresi gli allontanamenti volontari”.
Ma è possibile che questo fenomeno avvenga anche in Italia? È molto improbabile, in quanto la privacy in Italia è meno tutelata rispetto a quella in Giappone. Di conseguenza sparire completamente, sia dal punto di vista burocratico che abitativo, sarebbe molto più difficile. Inoltre, le pressioni sociali non sono così forti come in Giappone, dove il rigore, il lavoro continuo e l’onore hanno un grande peso sulle persone.

