Sono sempre di più gli studenti delle scuole italiane che scioperano e protestano. Ma la reazione del mondo istituzionale e adulto è spesso molto dura.

di Emma Cappelletti

Di recente gli studenti hanno iniziato a far sentire la propria voce in proteste e scioperi sempre più massicci. L’anno in corso ha visto infatti un aumento significativo di manifestazioni, occupazioni e scioperi negli istituti di ogni ordine e grado, segnalando una crescente insoddisfazione e una determinazione sempre più forte nel chiedere un cambiamento radicale.

Le ragioni di questa protesta sono molteplici e variano da regione a regione, ma un filo comune lega gli studenti: la volontà di riformare un sistema educativo giudicato spesso inadeguato e iniquo. Dai tagli ai fondi destinati all’istruzione alla mancanza di spazi adeguati e strumenti didattici obsoleti, passando per la richiesta di una maggiore partecipazione degli studenti alle decisioni che li riguardano, le richieste sono chiare e urgenti. La riforma della condotta, proposta dal ministro Valditara, è considerata “repressiva e senza una vera finalità educativa” (Fast – forum delle associazioni studentesche), mentre restano assenti una politica transgender e trans femminista, il tema della salute mentale e il supporto psicologico nelle scuole. In discussione anche i temi caldi di attualità, che rimangono al di fuori delle mura scolastiche ma che molti giovani vorrebbero studiare e capire, per potersi esprimere in merito.

“Vogliamo proporre con questo gesto, un modello alternativo di scuola, che non si basi sull’individualismo e la competizione ma sull’integrazione e la crescita personale e che educhi gli studenti come membri di una comunità” dichiarano gli studenti del Visconti di Roma, precisando che si tratta di problemi condivisi con numerosi istituti italiani.

La reazione dei presidi non si è fatta attendere. Ha fatto scalpore la decisione del preside del liceo Tasso, Paolo Pedullà, che è intervenuto punendo con 10 giorni di sospensione dalle lezioni, di cui 8 da svolgere con attività socialmente utili, più 5 in condotta al termine del primo quadrimestre a tutti i 170 studenti che si sono dichiarati coinvolti nelle proteste. Il Ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara ha espresso il suo apprezzamento al dirigente scolastico Pedullà e ai docenti per la fermezza dimostrata in merito alle occupazioni dell’istituto, aggiungendo che “La scuola costituzionale, e dunque democratica, è quella che insegna a rispettare le regole e a coniugare libertà con responsabilità”.

Ma queste punizioni non hanno fatto altro che inasprire i rapporti tra studenti e istituzioni. Infatti, sabato 20 gennaio, oltre 200 ragazzi sono scesi nuovamente in piazza per contestare i provvedimenti del preside del liceo Tasso, ritenuti troppo severi e sproporzionati. 

In questa vicenda anche i genitori sembrano divisi tra chi sostiene gli studenti in rivolta con lettere e richieste collettive ai presidi e chi invece si schiera contro ogni tipo di manifestazione. 

Le istituzioni sembrano sempre più ostili al dissenso. Un altro esempio è rappresentato dallo studente Damiano Cassanelli, che ha rilasciato un’intervista a un giornale locale nella quale elencava alcune criticità inerenti il suo istituto ed è per questo stato punito dalla dirigente scolastica con 12 giorni di sospensione. Il caso modenese è ora nelle mani del Tar (tribunale amministrativo regionale), a cui il legale del ragazzo si è rivolto per chiedere l’annullamento della sanzione. 

Gli studenti, stanchi di un sistema inadatto alle loro esigenze, nel richiedere uno dei più fondamentali diritti, ovvero quello a un’istruzione adeguata e uguale per tutti, si ritrovano da soli davanti a un mondo adulto che sembra rifiutare il dialogo e prediligere la repressione del dissenso. 

E voi, cosa ne pensate? 

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