Il mondiale che si giocherà in terra arabica tra dieci anni non sarà solo sport: diventerà un’importante finestra aperta sui progressi socioculturali dell’Arabia.

di Marco Vangelisti

Affronto questo tema partendo dalla constatazione già fatta: a tutti i livelli lo sport emoziona. Eppure, in ambito globale, come nel caso dei Mondiali di calcio, lo sport influisce fortemente anche sulla mente collettiva che vive un particolare contesto culturale, politico e sociale. Il 2034 sarà l’anno dello svolgimento dei Mondiali in Arabia Saudita. Un Paese che, in queste settimane, mostra una nuova versione di sé, tra discussioni da sbrogliare e sfide da vincere.

Questo grande torneo sportivo si inserisce in un contesto più ampio, che è quello del piano “Vision 2030”: un ambizioso programma di riforme voluto dal principe ereditario Mohammad bin Salman. Il progetto mira a trasformare l’economia del Paese, tradizionalmente basata sul petrolio, in un modello più diversificato e sostenibile, puntando su turismo, tecnologia e innovazione.

Dal punto di vista socioculturale, l’Arabia Saudita mostra tutte le sue contraddizioni: la società è profondamente ancorata al passato e conservatrice, radicata nei valori islamici e nella monarchia assoluta. Tuttavia, negli ultimi anni, si sono registrati segnali di apertura: è stato permesso alle donne di guidare, sono state ampliate le loro opportunità lavorative e sono stati organizzati eventi culturali e sportivi senza precedenti. Questi aspetti, seppur di grande importanza, non devono sviare l’attenzione da elementi di segno opposto: la limitata libertà di espressione, la censura, le severa punizione per i dissidenti politici e le polemiche per le violazioni dei diritti umani.

La scelta di assegnare i Mondiali all’Arabia Saudita è stata fin da subito molto discussa. Amnesty International, Human Rights Watch e le principali organizzazioni internazionali per la tutela dei Diritti Umani continuano a denunciare violazioni nel Paese.

Vediamo le più importanti:

– Diritti delle donne. Nonostante le riforme promosse negli ultimi anni, le donne saudite non possono ancora godere di una serie di diritti fondamentali: restano le limitazioni alla libertà di movimento (non possono ottenere un passaporto, uscire dal paese o viaggiare all’estero; non possono sposarsi o essere rilasciate dal carcere senza l’approvazione del loro tutore di sesso maschile). Esistono ancora arresti arbitrari e la tortura per i difensori dei diritti delle donne.

– Libertà di parola. Sono diversi i casi di oppositori del regime arrestati ingiustamente, torturati e maltrattati. Solo negli ultimi due anni, le organizzazioni per i Diritti Umani hanno documentato nuovi arresti di giornalisti e attivisti.

– Diritti dei lavoratori. L’ingente mole di cantieri per il mondiale hanno esposto migliaia di lavoratori migranti a violazioni e condizioni che sono ai limiti della dignità umana. La maggior parte dei dieci milioni di lavoratori stranieri arriva da India, Nepal e Bangladesh, in fuga dalle disastrose condizioni economiche dei propri Paesi.

È forte anche l’allarme per l’impatto ambientale che un mondiale organizzato completamente in Arabia Saudita può generare. Con temperature torride d’estate e clima desertico, le operazioni di raffreddamento di campi, strutture e stadi sono una sottile linea di confine tra innovazione e catastrofe.

Insomma, i Mondiali del 2034 rappresenteranno non solo una celebrazione del calcio mondiale, ma anche un’occasione per mettere alla prova la retorica araba del cambiamento, costringendo il “nuovo centro” dello sport globale a confrontarsi con la realtà dei fatti.Lo sport sarà un palcoscenico calcistico dove il “bene” reciterà per costruire un ponte che guardi al cambiamento e il “male” interpreterà quelle distanze culturali che rendono l’Arabia Saudita ancora così lontana.

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