Nervosismo, stress e orgoglio: un mix letale di emozioni che ha causato la rissa più violenta nella storia dell’NBA.

di Giovanni Sassi Buttasi.

Le emozioni sono ciò che differenzia l’uomo dalla macchina, ciò che permette di conservare la propria umanità in una società sempre più sterile e alienante. Ma nel momento in cui lo stato emotivo ha la meglio sulla ragione, possono sorgere problemi.

Questo è ciò che succede nelle comunissime risse da stadio: spesso le emozioni prendono il sopravvento su giocatori e tifosi. E una serata tranquilla in un tempio dello sport puó trasformarsi in un incubo, tra follie e violenze. Il campionato di basket americano ogni anno è costellato da episodi simili tra loro ma quelli che riescono a scrivere la storia sono pochi, come lo scontro tra Indiana Pacers e Detroit Pistons di vent’anni fa.

Il 19 novembre 2004, al Palace of Auburn Hills dell’omonima città del Michigan, i Pistons ospitano i Pacers in una partita che, nei giorni precedenti, ha raccolto un grande clamore mediatico. É il primo confronto tra le due squadre dopo le “Eastern Conference Finals” della stagione passata in cui a trionfare fu Detroit, futuro campione NBA, per 4-2.

Data la vicinanza tra gli stati Indiana e Michigan, il “Palace” è gremito di tifosi da ambo le parti e i grandi protagonisti di Pistons (Ben Wallace, Rasheed Wallace, Chauncey Billups) e Pacers (Ron Artest, Stephen Jackson, Jermaine O’Neal, Jamaal Tinsley) non si risparmiano, giocando una partita che, a meno di un minuto dal termine, mostra 97-82 per Indiana.

Sembra tutto finito quando, con 45.9” sul cronometro, Ben Wallace, praticamente lasciato libero di segnare da uno Stephen Jackson che aspetta solo la sirena finale, riceve una spinta dietro la testa da Ron Artest, in un tentativo di recupero. L’ala dei Pacers non sa che quel gesto malizioso, a match ormai finito, altro non è che la scintilla che avrebbe innescato una delle risse sportive più violente che l’NBA abbia mai visto.

Infatti, a seguito del brutto fallo, Wallace reagisce mettendo le mani in faccia ad Artest. Un arbitro si pone impavido tra l’incudine e il martello, nell’intento di raffreddare gli animi. Ben presto i giocatori di entrambe le squadre vengono in soccorso, cercando di calmare quella che stava diventando la prima ripresa di un incontro di boxe. Il risultato però è l’opposto di quello sperato: tra una spinta e l’altra gli alterchi si diffondono sul parquet, fino a coinvolgere per intero le due squadre. I giocatori s’azzuffano selvaggiamente in un groviglio di maglie bianche e verdi. Artest, rimasto fortunatamente (o sfortunatamente) fuori dal mucchio, gongola verso il tavolo di gioco e, come fosse un letto, ci si corica. Intanto inizia a quietarsi il marasma da lui creato. Il giocatore dei Pacers, che ha incontrato diversi esperti per gestire il suo carattere tutt’altro che mansueto, affermerà successivamente che il gesto di isolarsi dallo scontro celava il tentativo di mantenere la calma e di non peggiorare la situazione. L’idea non funziona e  non fa altro che ravvivare le fiamme di un incendio ormai ridotto a poche “braci”: prima un asciugamano lanciato nella sua direzione da un giocatore avversario non ottiene reazione; poco dopo un bicchiere di Coca-Cola tirato dalla tribuna retrostante atterra per direttissima sul petto di un Ron Artest ancora supino sul tavolo. E’ questa, se si deve individuare, la famigerata “goccia che fa traboccare il vaso” di quell’indelebile 19 novembre di due decenni fa.

Detto fatto, Artest si desta dal suo letargo e, come un leone, si scaglia sugli spalti in cerca della preda. Ritenendo colpevole un ragazzo, il malcapitato Michael Ryan, Artest lo afferra per il volto. Ma passa solo qualche istante prima che il giocatore venga trattenuto alle spalle da due spettatori, mentre un altro provvede a tirargli in faccia un altro drink. Artest si dimena e Jackson, che l’ha seguito sugli spalti, suona la carica con un pugno assestato al tifoso amante dei gavettoni di Ferragosto. Diversi membri dello staff e giocatori dei Pacers, tra cui Jamaal Tinsley e Reggie Miller (che non ha giocato a causa di un infortunio), si precipitano per recuperare un Jackson e un Artest alla deriva. Dopo qualche strattone riescono a fermarli. L’incendio peró divampa. In pochi attimi la barriera invisibile che separa giocatori e tifosi crolla e, al Palace, chi si trova sul petto la scritta “Pacers” non è altro che un bersaglio. John Green, il lanciatore del bicchiere di Coca-Cola, si butta nella rissa mentre David Wallace, fratello di Ben, assale con un paio di colpi Fred Jones, guardia degli Indiana Pacers. Altri fan si avvicinano alla zona calda tirando popcorn, bevande e qualsiasi cosa capiti a portata di mano. Quando Artest riesce a scendere dagli spalti, due uomini lo rincorrono: sono Alvin Shackleford e Charlie Haddad. Il primo viene steso con un pugno. Il secondo, già noto alla sicurezza del Palace, lo trascina per terra. In un battito di ciglia, Haddad viene travolto dalla furia dei giocatori dei Pacers, subendo prima un pugno alla nuca da Johnson e poi uno in faccia da O’Neal.

La situazione peggiora quando la sicurezza dell’arena, totalmente impreparata per una situazione simile, fa irruzione per ristabilire l’ordine. Come se niente fosse, sono ancora molti i tifosi che si accalcano attorno ai giocatori della squadra ospite, mentre bambini e altri spettatori in stato di shock fuggono dal palazzetto. La squadra di coach Larry Brown viene scortata nei tunnel degli spogliatoi e nel farlo è ricoperta da cascate di popcorn, Coca-Cola e insulti vari. Anche una sedia pieghevole viene “sparata” nella loro direzione, sfiorando O’Neal. Finalmente, la polizia di Auburn Hills riesce a irrompere nel Palace, minacciando di ammanettare chi non esca dalla struttura. Gli agenti entrano negli spogliatoi dei Pacers per effettuare degli arresti ma la squadra, avendo fatto salire Artest sul pullman, si rifiuta di farlo scendere.

Durante il viaggio di ritorno, alla domanda di Artest che chiedeva se si fossero messi in guai seri, Jackson rispose “saremo fortunati se avremo ancora un lavoro”. L’esperienza ha traumatizzato diversi giocatori e membri dello staff dei Pacers, i quali hanno affermato che era come essere in gabbia: lottare per la propria vita era l’unico modo per uscirne.

Il bilancio a fine serata recita nove spettatori feriti, di cui due portati in ospedale. La lega decide di cancellare l’ultimo minuto di gioco e di dare la vittoria agli Indiana Pacers, oltre che attuare rovinose sospensioni per diversi giocatori della franchigia: Ron Artest viene squalificato per il resto della stagione (86 partite), Stephen Jackson per 30 partite e Jermaine O’Neal per 15. Sul piano legale invece diversi fan ricevettero delle condanne, tra cui Green e Haddad.

L’evento è la notizia più eclatante del giorno successivo, riportata sui giornali con titoli ad effetto come “Pacers in brawl with Palace fans”, “Pure disgrace at the Palace” e “Ugly fight mars NBA game”. Il titolo destinato a targare per sempre questa tragica pagina dell’NBA, è lo stesso che compare a carattere cubitali sulla prima pagina del giornale cittadino “Detroit free press”: “Malice at the Palace”.

La super rissa ebbe anche dei risvolti positivi: se da un lato ha rappresentato il culmine di una reputazione fatta di violenza e mancata disciplina, per l’NBA fu in egual modo l’occasione di cambiare per sempre la propria immagine, effettuando delle rivisitazioni del regolamento tra cui, ad esempio, la limitazione della vendita di alcolici durante i match.

Per concludere, possiamo affermare che le emozioni sono essenziali quanto la capacità di non venirne travolti. Riuscire a navigare in questo mare tempestoso richiede pazienza e attenzione e, spesso, è più facile lasciarsi trascinare dove le onde ci portano.

Di Giovanni Sassi Buttasi

Nessuna presentazione riguardo al redattore.

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