MyFermi incontra Francesco Messori, capitano della Nazionale Italiana Calcio Amputati
di Hajar Qacem e Ilenia Labriola
Francesco Messori è un calciatore italiano, nato senza la gamba destra e con diversi problemi fisici, alcuni dei quali risolti con interventi chirurgici. Fin da piccolo coltiva la passione per il calcio. Non trovando una struttura sportiva che si occupi di sportivi con menomazioni, decide di lanciare un appello per la costituzione di una squadra che riunisca tutti i calciatori affetti da disabilità motoria. Così nel 2012 nasce la Nazionale italiana calcio amputati, di cui diviene capitano. Quest’oggi noi abbiamo avuto la fortuna e il piacere di intervistarlo.
Com’è nata la tua passione per il calcio?
Io sono nato senza la gamba destra, però sono sempre stato appassionato di calcio e ho deciso di coltivare questa mia passione fin dall’età di 7 anni. Ho iniziato a giocare con la protesi insieme a ragazzi normodotati della squadra di parrocchia. Dopo qualche anno ho deciso di abbandonare questa protesi e giocare con le stampelle. Il problema era che non potevo partecipare a gare “ufficiali”, perché le stampelle erano considerate un oggetto pericoloso nei confronti delle altre persone. Ci è voluto il centro sportivo italiano che mi ha tesserato, dandomi la possibilità di giocare appunto con ragazzi normodotati, con le stampelle “ovviamente”.
Da lì è iniziato il mio percorso calcistico. Il mio sogno era quello di confrontarmi alla pari sul campo e volevo trovare altri ragazzi che avessero il mio stesso problema. Per questo ho pubblicato un post dopo aver creato un gruppo su Facebook e ho scritto quale fosse il mio desiderio. Nel giro di un anno siamo riusciti a raccogliere una decina di adesioni, che hanno permesso appunto la formazione di questa squadra, che è diventata la nazionale italiana di calcio amputati del CSI nel 2012.
Fino a 11 anni avevi la protesi alla gamba, giocavi con quella, poi hai deciso di toglierla: perché?
Essendo nato senza una gamba, la mia natura era questa e quindi non vedevo il motivo per cui io dovessi indossare qualcosa che mi aiutasse a vivere meglio la vita rispetto a quanto già potessi fare io senza. Quindi ho deciso di abbandonarla. Poi a livello fisico mi creava molti problemi: mi era molto scomoda, ero costretto a legarmela al busto e ciò mi dava molto fastidio ed è per questo che ho deciso di iniziare la mia vita con le stampelle, che ormai posso dire essere la mia seconda gamba, ecco.
Nel 2012 hai fondato la Nazionale Italiana Calcio Amputati. Sei soddisfatto di quanto hai creato?
Assolutamente sì. Ormai da poco più di 11 anni portiamo in giro la nostra testimonianza di vita e di sport non solo per l’Italia ma anche per il mondo, perché abbiamo avuto la fortuna di giocare in vari eventi internazionali. Ed anche perché questo mi ha dato la possibilità di conoscere tanti ragazzi con la mia stessa storia o comunque che hanno subito un trauma nella loro vita. Questa nazionale ha dimostrato che nonostante il trauma c’è sempre una seconda possibilità.
Quali sono le caratteristiche specifiche del calcio giocato nella vostra squadra rispetto al calcio tradizionale?
Innanzitutto noi non giochiamo in 11 ma in 7, i giocatori in campo devono essere amputati ad un arto inferiore ed utilizzare esclusivamente le stampelle per giocare; nessun tipo di protesi è ammessa. Le stampelle devono essere utilizzate solo come ausilio e non per colpire il pallone e anche per chi ha un’amputazione diversa dalla mia, sopra il ginocchio o sotto deve stare attento a non toccare con la palla questa parte del corpo. Anche nel nostro calcio ci sono i falli di mano, che sono i falli con le stampelle. Il portiere invece deve essere amputato ad un braccio. Non c’è il fuorigioco e le rimesse laterali sono battute con il piede. Giochiamo due tempi da 25 minuti.
Hai pubblicato il libro “Mi chiamano Messi” in cui racconti la tua storia. Qual è il messaggio che volevi trasmettere al pubblico attraverso il tuo libro? A quale pubblico hai pensato quando hai iniziato a scriverlo?
Ci tengo a precisare che questo libro non l’ho scritto da solo, nel senso che io mi sono fatto intervistare da una co-autrice, che poi ha scritto il libro in prima persona, raccontando la mia storia dall’infanzia fino alla realizzazione del mio sogno, compreso il percorso del mondiale in Messico del 2018. Il libro è pensato per far capire che ognuno di noi può trasformare il proprio limite nel proprio punto di forza; questo è il messaggio più importante.
A proposito di Messi, hai avuto la possibilità di incontrarlo ben due volte: cos’hai provato in quei momenti? Cosa significa Messi per te?
Messi è il mio idolo ormai da più di 10 anni. Ho iniziato a seguire il Barcellona ai tempi d’oro e da allora mi sono innamorato sia di lui sia della squadra della quale tuttora sono tifoso. Anche perché sul campo dimostra di fare cose che difficilmente si vedono da altri giocatori e poi anche perché dimostra di essere molto umile: nonostante la sua posizione in campo, non si lamenta, si rialza sempre, si sacrifica e gioca per la squadra. Secondo me è proprio questo che lo rende grande alla fine, perché prima di essere un grande giocatore, forse il più grande, mostra di essere una grandissima persona.
Hai avuto modo di donare il tuo libro a papa Francesco, insieme alla maglia della Nazionale. Vuoi parlarcene?
L’incontro con papa Francesco è stato di sicuro uno degli incontri più emozionanti della mia vita. Chiaramente ha avuto un significato diverso da quello di incontrare un giocatore. La fede è sempre stata una parte importante, a partire dai miei genitori fino ad arrivare all’ultimo periodo della mia vita. Sono stato davvero onorato di incontrarlo. Mi ha colpito il fatto che riesca a trovare uno spazio per tutte le persone che ha davanti, non si dimentica di nessuno.
Secondo te, cosa manca in Italia per superare i pregiudizi che ancora esistono verso le persone con disabilità?
Penso che debbano essere in primis le persone con disabilità a farsi avanti nei confronti delle altre persone, perché devono essere loro le prime a far capire che in realtà la loro diversità non è un problema. Spesso queste ragazze/i vengono bullizzate/i per il semplice fatto di essere disabili. Sono convinto che ciò possa essere superato se noi disabili per primi insegniamo agli altri come farci rispettare per quello che siamo.
Che tipo di legami hai con la squadra azzurra?
Per me è come una seconda famiglia, perché ci accomuna l’aver affrontato momenti difficili nella vita e quindi ritrovarsi nello spogliatoio per poter condividere questi momenti è sicuramente molto importante. Per noi rappresentare il nostro paese in campo vale ancora di più.
E infine una curiosità: hai ancora dei sogni nel cassetto da realizzare come calciatore e come uomo?
Come uomo spero di continuare a fare quello che sto facendo. Al momento sto lavorando al Sassuolo Calcio e come segretario nel settore femminile. Ho a che fare con le famiglie, con le giocatrici e soprattutto con il pallone. A livello internazionale sarebbe un sogno poter vincere qualcosa di veramente importante come un “Europeo” o un “Mondiale” e spero che la realtà del calcio amputati possa entrare nel movimento paralitico mondiale, perché ancora non è all’interno delle Paraolimpiadi.
Prossimamente nel nostro istituto Francesco verrà a farci visita e noi saremo lieti di ospitarlo. Se avete delle domande da rivolgergli, scrivetele all’indirizzo email della redazione myfermi@fermimn.edu.it.