Da quest’anno, in tutte le scuole italiane, è diventato obbligatorio svolgere trenta ore di Orientamento. E tutti noi, almeno una volta, ci siamo chiesti “cos’è davvero?”

Di Elisa Zaltieri.

È capire che Università vogliamo frequentare? Oppure che lavoro fare? O chi vogliamo essere?

Per rispondere a queste domande è il vocabolario Treccani ad aiutarci:

 “Nell’uomo, la capacità di orientarsi, come consapevolezza della reale situazione in cui un soggetto si trova, rispetto al tempo, allo spazio e al proprio io, risultante dalla sintesi di molteplici processi psichici (percettivi, mnesici, ideativi) che implicano insieme un sufficiente grado di lucidità della coscienza: avere, non avere…e, più spesso, senso d’orientamento che indica anche, più genericamente, la capacità di determinare il luogo dove ci si trova e conseguentemente di prendere la direzione esatta per raggiungere il luogo voluto”. Da questa definizione abbiamo iniziato il nostro viaggio. Abbiamo svolto vari progetti aiutati dai rispettivi tutor. E, al termine del percorso, mi sento di rispondere che l’Orientamento significa, in realtà, capire chi sono.

Ma non era pensato per scoprire cosa fare dopo la scuola?

La Scuola Superiore è stata la nostra prima grande decisione: Scientifico, Classico, Scienze Umane, ITIS…

Eravamo molto giovani quando abbiamo dovuto scegliere uno di questi indirizzi. Tutti noi siamo stati consigliati da professori che vedevano uno studente da dieci in matematica, da genitori convinti di aver generato piccoli letterati e da amici che, a un “open day”, si sono innamorati della “scuola con due bar”.

Ora siamo considerati legalmente degli adulti anche se, sul piano reale, abbiamo ancora molta strada davanti a noi. A questo punto siamo tenuti a fare una delle scelte che più di tutte avrà impatto sulla nostra vita: non riusciamo più a identificarci, non siamo più bianco o nero perché adesso siamo un’infinita scala di grigi.

Proviamo a porci delle domande: cosa mi piace fare? In cosa sono bravo? Chi voglio essere in futuro? Le risposte a questi quesiti spesso creano ancora più confusione, perché non possiamo definirci in un semplice: “mi piace la fisica, sono bravo nel canottaggio e voglio diventare ricco”.

Non riusciremo mai a riassumere tutto ciò che siamo ma, in qualche modo, siamo tenuti a rispondere alla domanda più importante di tutte: “chi sono io?”

Beh, partiamo dalle basi.

Sono un adolescente, ho un nome, delle passioni, degli interessi e, soprattutto, delle esperienze.

Ed ecco l’illuminazione! Ci passano davanti agli occhi gli anni della nostra vita come in una scena di “Ritorno al futuro”: gli amori, i cuori spezzati, i successi, i fallimenti, i sorrisi e i pianti. Così capiamo che in realtà non siamo altro che la somma del nostro vissuto.

Non siamo le persone che eravamo ieri e non possiamo scorgere chi saremo domani: ogni giorno, però, siamo definiti dal modo in cui ci poniamo di fronte alla vita.

La professoressa responsabile dell’Orientamento della mia classe ha riassunto, a parer mio, perfettamente questa situazione con un dialogo tra Alice e lo Stregatto di “Alice nel Paese delle Meraviglie”: la protagonista si è persa e chiede al buffo gatto che strada deve prendere. Lui le dice che tutto dipende da dove vuole andare e lei ribatte che non è importante purché ce la faccia. E lo Stregatto perentorio: “allora importa poco che strada prendi”.

Alla fine riusciremo a trovare la nostra strada anche se ancora non possiamo vederla. Che sia in salita o in discesa imboccheremo la nostra via fino a dove ci porterà. La strada potrà essere dissestata e avere delle svolte impreviste. Ma andremo fino in fondo.

Detto questo, la scelta conta, certo, ma alla fine siamo creature fatte di emozioni in continuo cambiamento e se ogni giorno riusciamo a rispondere alla domanda “chi sono oggi?” sono convinta che ce la faremo.

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