Chi compie il male? Il film-scandalo che mostra collaborazioni e responsabilità nello sterminio nazista
di Davide Tecchio
Sinossi
Seconda guerra mondiale: Kurt Gerstein, chimico ufficiale delle SS realmente esistito, scopre che lo Zyclon B, da lui realizzato per le disinfestazioni, viene utilizzato per eliminare gli ebrei. Sconvolto da questa rivelazione ed essendo profondamente religioso, cerca un contatto negli ambienti della Chiesa Cattolica, nella speranza che lo sterminio venga fermato, e lo trova nel giovane gesuita padre Riccardo Fontana (personaggio fittizio, magistralmente interpretato da Mathieu Kassovitz). Nonostante il chimico riesca a far giungere la notizia al Papa, Pio XII, per salvare i cattolici di Austria e Germania, deciderà di tacere. Lo stesso faranno gli alleati, perché impedire la shoah non è una priorità. Il finale non risparmia nessuno quanto a responsabilità e restituisce una parte della storia che per anni non si è voluto narrare.
Il film
Dall’opera teatrale di Rolf Hochhuth “The Representative” (tradotto “Il vicario” – 1963), il regista Costa-Gavras adatta la storia alla pellicola, intitolandola “Amen”, modellandola secondo le proprie inclinazioni spontanee e controcorrente. Il testo teatrale si spinge a puntare il dito contro la “storia silenziosa”, quella caratterizzata dall’assenza, dal “non esprimersi” di importanti figure di fronte alle tragedie mondiali in atto. Spesso invocata a pronunciarsi su temi di portata universale, la figura del Papa è chiamata ad esprimere il volere della Chiesa: ma è la sua natura duplice, tra umano e non-umano, che più volte viene criticata per la caratteristica indifferenza che ne delinea il ruolo politico.
Il tema del girato, infatti, è incentrato sulla dimensione disumana e strategica del silenzio, cioè la forma più crudele dell’indifferenza: Amen racconta il tardivo intervento papale e degli Alleati nei confronti delle persecuzioni antiebraiche, scandito dal treno che corre veloce sulle rotaie più volte nel film, ad indicare lo scorrere inesorabile della tragedia che si consuma. Il forte impatto scandalistico che ebbe l’opera originaria e che ritroviamo in “Amen” (nella cui locandina una svastica è deformata in modo da suggerire una croce) è è riconducibile ad una efficacissima riflessione sull’opportunismo, sulle parole rimodellate per non essere scomode a nessuno (nient’altro che un’ulteriore forma di silenzio) e sulle tragiche, crudeli condizioni poste dalla diplomazia.
“Prima, durante e dopo la mia prigionia mi ha ferito l’indifferenza colpevole più della violenza stessa. Quella stessa indifferenza che ora permette che Italia ed Europa si risveglino ancora razziste; temo di vivere abbastanza per vedere cose che pensavo la Storia avesse definitivamente bocciato, invece erano solo sopite.” – Liliana Segre.
Perché facciamo così fatica a svegliarci, riconoscendo il male? Perché come ciechi siamo ciechi che vedono? Scegliamo di non agire, voltarci e scappare, ignorare l’ingiustizia solamente per mero guadagno e a tratti per inerzia. Quand’è che abbiamo abbandonato la nostra ancestrale forma di cura per il prossimo? Quand’è che l’essere umano si è tramutato in bestia, animale ignobile e brutale dominato unicamente dal livore e concentrato su se stesso? Come Kurt Gerstein (Tukur), protagonista della pellicola, siamo chiamati a resistere ad un giudizio finale. A Dio pensate? Non vi è alcun senno celeste, ma soltanto la nostra sentenza, cruda e immorale, il buonsenso di una belva che, come scopo finale, ha bisogno di riscattarsi, supplicare un nuovo Dio.
Amen.