Mentre l’Emilia Romagna viene sommersa dall’acqua, i giornali, i tuttologi e i politici piangono sul latte versato (o meglio dire sull’argine straripato). Questa è crisi climatica. Solo riconoscendolo possiamo salvarci.

di Pietro Casari

Decine di migliaia di sfollati, 9 morti accertati e diversi dispersi, una regione in tilt, miliardi di euro di danni. Questo è il bilancio della catastrofica situazione in cui in poche ore sono cadute l’Emilia Romagna e le Marche.

Le cause sono tante. Le forti piogge degli ultimi giorni hanno causato in poche ore frane, crolli ed esondazioni su un territorio estremamente impreparato. Non bisogna però pensare che tutto ciò sia dovuto solamente a inaspettati temporali; è necessario anzi evidenziare le mancanze strutturali necessarie ad affrontare una situazione di crisi di questo calibro, preannunciata da migliaia di scienziati come una delle possibili conseguenze del cambiamento climatico. Non si tratta solo di una mancata organizzazione nell’affrontare situazioni di questo tipo, ma anche di una decennale politica di disinteresse, superficialità e dunque irresponsabilità. La siccità degli ultimi anni, causata dallo sfruttamento del terreno, l’innalzamento della temperatura media globale, come anche la cementificazione da record sul territorio italiano (una media annuale doppia rispetto a quella di tutta l’Europa) hanno reso il terreno impermeabile.

Parlare delle conseguenze è la via più razionale da percorrere di fronte a situazioni di questo tipo, per attuare politiche utili a preservare il territorio e quindi noi stessi. Ma sembra che la nostra classe dirigente e l’opinione pubblica siano interessati ad altro. Basta un veloce scroll della pagina di Google News o dei tweet dei politici per constatare come non ci sia nessun articolo che parli di crisi climatica, di fenomeni estremi, di situazione apocalittica; il dramma che alcune regioni stanno vivendo è ridotto a un problema di maltempo, come stessimo parlando di quell’odioso acquazzone che ci rovina ogni anno i piani per Pasqua. E ancora più preoccupante è l’evidente mancanza di volontà di effettuare un’analisi accurata al fine di attuare politiche che mirino ad evitare un bis. Ci sono forse forti interessi che impediscono di affrontare seriamente il problema? E nel caso non fossero presenti, non è allora preoccupante ed evidente l’incapacità di chi ci governa di fronte a questa situazione?

Da ambientalista convinto e attivista di FFF (Fridays for Future), non intendo limitarmi a un bel “Ve l’avevamo detto”, ma rivolgervi la preghiera di non commettere di nuovo gli stessi errori. La prossima volta che un leader politico esprimerà la sua condoglianza alle famiglie delle vittime e alle persone sfollate, ditegli che le sue scelte hanno portato a questo. Quando un intero territorio verrà allagato, diffidate di chi vi parla di semplice maltempo. Quando sentirete dire che la più grande area verde della vostra città sarà cementificata, mobilitatevi (spoiler: sta succedendo qui, a Mantova). Ciò che si è verificato in Emilia Romagna, se non ci muoviamo, succederà anche qui. Secondo ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) il 94% dei comuni in Italia è a rischio alluvioni e la nostra provincia è un territorio a rischio elevato.

Parlare di maltempo è come tuffarsi in acqua di pancia: bagnarsi facendosi del male per stupidità. Forse è il momento per tutti di crescere e capire che invece di affrontare tutto di pancia, è arrivato il momento di fare un bel respiro, usare la testa e coordinarci. È il momento di riconoscere e assumersi le proprie responsabilità. È il momento di agire.

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