Il thriller che mostra la violenza di genere, così com’è
di Michele Sbizzera
The Girl with the Dragon Tattoo, dal regista David Fincher, è un thriller che esplora la crudeltà dell’animo umano nelle sue forme più crude e viscerali, ponendo le donne come vittime delle parti più marce della società attuale con una violenza a schermo senza censure e senza veli.
La vicenda si svolge in Svezia: la tanto acclamata e progressista terra che a tutti sembra non presentare difetti sociali ed essere avanzata in pressoché ogni aspetto. Quella proposta da Fincher tuttavia, è una Svezia fredda e gelida come i colori e le ambientazioni della pellicola. Il freddo è una metafora per dimostrare la resilienza della violenza umana che, anche in uno stato così avanzato, rimane congelata continuando a mietere vittime.

La violenza di genere viene presentata dai due protagonisti Lisbeth Salander e Mikael Blomkvist. La prima è una ragazza che ha subito violenze per tutta la vita e ciò si riflette nel suo utilizzo di piercing e uno stile punk come un’armatura contro chi si avvicina troppo a lei. Estremamente introversa, cova un sentimento di rabbia dentro di sé che sfogherà in modi estremamente violenti combattendo il fuoco con il fuoco a seguito di diversi abusi.

Il secondo è un giornalista che, dopo aver fatto il passo più lungo della gamba, attaccando e perdendo contro un potente finanziere, si ritrova sull’orlo del fallimento e si auto esilia sull’isola da dove lo hanno chiamato per compiere un lavoro. Il suo compito sarà quello di indagare sulla scomparsa della sedicenne Harriet Vanger risalente a molti anni prima.
Quella che all’inizio sembra essere una semplice indagine, si amplia molto nel corso della narrazione diventando molto di più di un regolare caso di sparizione. Man mano che vengono scoperti indizi, una inquietante verità viene a galla e comincia la ricerca di un killer che sembra voler punire le donne seguendo seguendo tratti biblici.

Utilizzando questo dualismo tra il caso Vagner e la vita privata di Lisbeth, la misoginia viene presentata sotto varie sfaccettature dando una visione sia della pesantezza di un singolo abuso, sia dell’ampiezza del problema su larga scala come verrà rivelato nell’indagine seguita da Mikael.
Il patriarcato nel film non è qualcosa di pesante e di onnipresente, ma è sottile e diffuso ovunque, e si dimostra in momenti, luoghi e in persone specifiche in modo che le donne siano impotenti contro di esso e si trovino a vivere in situazioni senza via di uscita, tornando quindi alla metafora del ghiaccio come ente che intrappola e soffoca le donne vittime del sistema.
A questa atmosfera dura si susseguono molte scene di una crudezza inaudita che non escludono lo spettatore dal vedere cosa davvero significa essere vittime degli abusi, spesso visti solo come statistiche. Le scene violente sono pesanti e colpiscono forte con il loro realismo che trasforma in immagini ciò che spesso viene descritto a parole facendo vivere in prima persona anche i momenti più cruenti.
The Girl with the Dragon Tattoo è quindi un film semplice in apparenza ma profondissimo nella realtà, comprenderlo appieno è possibile solo guardandolo e scoprendo da sé l’agghiacciante verità che si cela dietro il nostro quotidiano.


