“Il figlio di Saul”: storia di un uomo che resta umano
di Andrea Ferrari
REGIA: László Nemes
DURATA: 1h 47m
USCITA: 2015
trama
1944, Auschwitz
Saul Ausländer è un Sonderkommando, ovvero un prigioniero ebreo costretto a lavorare ed assistere i nazisti nello sterminio, portando i corpi dalle camere a gas al forno crematorio. I Sonderkommandos sono isolati dagli altri ebrei e sopravvivono fino a quando non viene ritenuto necessario.
Mentre Saul sta liberando una camera, vede dei medici nazisti che stanno uccidendo un ragazzo stranamente sopravvissuto al veleno. Saul riconosce il ragazzo come suo figlio, scomparso all’arrivo nel campo. Non riuscendo a salvarlo decide di offrire al bambino una degna sepoltura ebraica: Saul si metterà alla ricerca di un rabbino disposto a celebrare il funerale, nel momento in cui i prigionieri deportati si rivoltano contro i carcerieri nazisti.
considerazioni
“Straordinario” è una strana parola: può dire tutto e niente. Letteralmente vuol dire “extra ordinario”, quindi fuori dall’ordinario, fuori dal normale, qualcosa di mai visto prima. Con “Il figlio di Saul è un film straordinario” intendo proprio questo. László Nemes, il giovane regista ungherese che ha diretto questo film, mette in pratica una tecnica registica eccezionale, personale ed emotiva: non a caso questa opera è classificata come una delle migliori rappresentazioni dell’Olocausto.
Il lungometraggio fa un uso molto efficace della posizione di camera in prima persona, capace di creare un’esperienza straordinariamente immersiva per lo spettatore. Per tutto il film seguiamo da vicino Saul, la telecamera puntata sulla sua nuca e tutto ciò che vediamo è lui, tutto il resto è sfocato, frammentato. Un posto infernale e di disperazione. Saul si sposta continuamente, dandoci l’idea di Auschwitz come un luogo in un perennemente divenire meccanico: Nemes ci vuole trasmettere l’idea di una fabbrica, di una catena di montaggio fatta di lavoratori oppressi.
È questa oppressione che genererà la ribellione dei membri del Sonderkommando. A Saul però non importa, a lui interessa solo suo figlio. Il protagonista risulta quasi cieco verso la disastrosa situazione in cui si trova, percorrendo la sua strada come se fosse già stata tracciata. Riesce a comunicare la sua disperazione in modo così intenso e commovente che lo spettatore si sente profondamente coinvolto nella sua lotta interiore.
Saul mostra un grande senso di umanità anche all’inferno, e non può che essere riservata ad un cadavere. La sepoltura del corpo del figlio è molto importante per il padre. Dice che sia il suo bambino, molto probabilmente non lo è però non importa. Egli identifica simbolicamente il ragazzo come il figlio di tutti i prigionieri nel campo, per questo gli riserva una degna sepoltura ebraica. La sua testarda ricerca del rabbino rispecchia il gesto dell’incredibile resistenza umana e di dignità.
Alla fine del film Saul sorride, un sorriso che rievoca un’emozione che non poteva provare nell’inferno di Auschwitz. Sorride a noi, sorride a sé stesso e sorride al bambino che scappa nella foresta inseguito dalle truppe delle SS: rappresenta la speranza, un’anima che è sfuggita al massacro. Nel suo fallimento, Saul ha comunque trovato una vittoria.
Avevo detto all’inizio che “Il figlio di Saul è un film straordinario”. Cambio giusto un paio di parole: “Il figlio di Saul è un capolavoro”.
Rating: 10/10