Non si placa la rivolta delle donne iraniane dopo la morte di Mahsa Amini, mentre in Occidente si riaccendono le polemiche sul velo.

di Hajar Qacem

Venerdì 16 settembre è successo qualcosa che ha sconvolto il mondo: la ventiduenne iraniana Mahsa Amini è morta qualche giorno dopo l’arresto da parte della polizia morale, la cosiddetta Gasht-e Ershad. La ragazza era stata arrestata, perché aveva violato il codice di abbigliamento in luoghi pubblici, ossia aveva indossato l’hijab – il velo – in modo scorretto e sarebbe morta per le percosse ricevute dalle milizie della moralità. La polizia iraniana sostiene invece che avrebbe avuto un arresto cardiaco, presumibilmente un infarto, mentre era in custodia giudiziaria. La famiglia ha dichiarato che Amin godeva di ottima salute.

Dopo la sua morte si sono levate proteste in tutto il Paese: le donne sono scese in piazza per chiedere diritti e libertà e denunciare la brutalità della polizia di un regime che è sempre più violento e discriminante.

Sulla vicenda è intervenuto il presidente dell’Iran, Ebrahim Raisi, promettendo di far chiarezza sul caso, mentre il leader supremo iraniano Ali Khamenei ha affermato che le proteste per la morte della giovane donna sono state pianificate da altri e non organizzate da “cittadini iraniani”. Nel suo primo commento ha sostenuto infatti che le rivolte e la destabilizzazione della sicurezza nel paese sono state alimentate da un progetto americano con la partecipazione dei suoi alleati. Dunque nessuna vera volontà, da parte delle autorità, di affrontare la questione in modo più serio. 

Di fatto il velo è divenuto il pretesto per dimostrare come i diritti delle donne in Iran non esistano e come queste siano le più colpite dalla dottrina ultrareligiosa imposta ormai da decenni. Per tali ragioni la loro protesta è divenuta radicale: le ragazze scendono in piazza, bruciano l’hijab pubblicamente e si tagliano i capelli. E i giovani iraniani le sostengono, dimostrando che il paese, almeno quello delle nuove generazioni, non tollera più la strumentalizzazione politica della religione e le costrizioni che minano la libertà individuale. Occorre al più presto un cambiamento.

Fuori dall’Iran… I pregiudizi verso il velo

Se in Iran il problema è decisamente più complesso e ha natura politica, nei paesi democratici di fede musulmana questo problema non esiste. Eppure anche in Italia, quando la gente vede una donna col velo, pensa che sia oppressa e obbligata ad indossarlo dalla sua cultura, dalla sua fede e dalla componente maschile della sua comunità. Questo giudizio esterno finisce per pesare notevolmente sulle ragazze musulmane: molte di coloro che vorrebbero indossare il velo, non lo fanno per paura di essere emarginate e prese in giro. Ciò che sfugge, però, è che il velo è solo ed esclusivamente un simbolo religioso per noi mussulmani e non uno strumento politico come in Iran. 

Nella nostra realtà italiana, l’articolo 19 della Costituzione garantisce libera espressione religiosa. Eppure chi la pratica a volte viene guardato con sospetto. E ci si dimentica che tutte le fedi religiose hanno simboli che tendono a esporre.

Tasnim è di origini egiziane, anche se nata in Italia, e indossa il velo. Ma non solo: Tasnim sui social racconta le sue origini, la sua identità, la sua religione, l‘Islam. Certo, parlare di Islam attraverso i social non è sicuramente facile, eppure questa ragazza ci sta riuscendo. Spiegando, innanzitutto, che indossare il velo non è una costrizione, ma una libera scelta; dietro la fede, nella maggior parte dei casi, non c’è alcun fanatismo. Tasnim è comparsa sulla copertina della rivista francese “Vogue”, orgogliosa di indossare il velo. 

A volte le persone mi fermano e mi dicono: “Ammiro tanto il tuo senso di religiosità”, perché è difficile mantenere la fede o una stessa religione con costanza. E io sorrido, felice di essere stata compresa: perché indosso il velo non per imposizione ma per scelta, come segno distintivo della mia cultura e della mia fede islamica.

 

2 commenti a “COSA SUCCEDE INTORNO A NOI”

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