Salvador Dalì, La persistenza della memoria
di Alessio Bosco e Claudia Pellicelli
Mi sveglio, gli occhi mi bruciano, si attaccano, ho quasi delle croste, dovrei smetterla. Ovviamente, come tutte le altre sere, questo pensiero dopo 30 minuti mi è già passato e cerco subito la prima sigaretta della giornata. Ho letto che la prima è quella che dà seguito a tutte le altre: purtroppo, per me è anche quella che dà inizio alla giornata. Alzandomi, inizio a cercare l’accendino, guardo ovunque, non sarà così difficile, nonostante le troppe cose che ho in questo buco. Forse dovrei smettere davvero, magari avrei più soldi per un posto meno di merda. Meglio optare per il gas dei fornelli.
Il telefono suona, prego con tutto il mio corpo che non sia di nuovo lei. Mento, forse ascoltare ancora la sua voce mi tirerà su di morale.
Numero sconosciuto. Rispondo: «Pronto?»
«Giù? Sono Massimo. È da stamattina che provo a chiamarti… Ma che fine hai fatto?»
Da stamattina? Ma che ore sono?
L’orologio del telefono segna le 14. Cazzo.
Ho dormito tutto questo tempo?
«Sì, sì, sono vivo, tranquillo. Non è ancora arrivata la mia ora, Massi.»
«Sì, dai… su con la vita, Giulio! Esci fuori a divertirti un po’. È ora di trovarne un’altra: dopo vent’anni incatenato, sei libero! …Non sei contento?»
Porca puttana.
«Sì, sì… una gioia. Grazie.»
Tanto vale provarci.
«Stasera sei libero? Avevo in mente di uscire un po’. Nulla di impegnativo, dai… una cosa tranquilla, Massi.»
«Stasera? Tranquilla? Dai, Giù… è da mesi che non esci e non provi a conoscere qualcuno o fare qualcosa di diverso. Ascolta, andiamo al…»
Avevo già smesso di ascoltarlo, terminai la chiamata, sempre la solita storia. Sono stanco. Reprimere tutto quello che ho dentro, essere forte fuori: per chi? Per cosa? Le uniche lacrime che ho potuto versare sono state quelle all’ospedale, dopo essere venuto al mondo. Da quel giorno, il mio viso è rimasto arido.
Massi non lo sa, ma in questi mesi di gente ne ho conosciuta un bel po’: l’avvocato di via Manzoni, il bangladino dietro l’angolo, Ciro il tabaccaio con le Marlboro sempre scontate. Chissà se qualcuno di loro ha capito. Ogni tanto mi chiedono se sto bene, se dormo o se mangio. Io rispondo sempre di sì: mi auguro che credano alle mie bugie.
Ormai sono le 3, la mia testa non mi lascia libero da quando sono sveglio: è sempre così. Basta! Silenzio! Io non ti sopporto, non… non ti sopporto più, cazzo. Driin…Driin, ancora? Meglio rispondere subito e togliersi questo sasso dalla scarpa, tanto sarà ancora Massi che mi obbliga ad uscire.
«Sì sì, stasera… poi ti dico. Ehm… scusa, è caduta la linea e… avevo altro da fare.»
«Giulio?»
Silenzio.
Tutte le voci sono scomparse d’un tratto.
«Giulio, ci sei? Tuo figlio sta male. Io sono al lavoro e mia madre sai che non può guidare. Serve che lo porti tu dal dottore, per piacere… sempre che tu non sia ancora ubriaco o fatto.»
«Oh, ciao. Sì, certo. Tempo di vestirmi e ci sono. No, tranquilla… tutto ok.»
Ho la nausea. Il pensiero di rivedere mio figlio mi fa questo effetto. Per fortuna, non succede spesso.
Devo vestirmi, ma tutti i vestiti che ho sono stropicciati. Che figura farò? Prendo il meno peggio che trovo e parto. Entro in macchina, sistemo gli specchi e, per un momento, mi vedo: sistémati i capelli. Metti bene quella camicia. Occhi rossi. Per fortuna, ho il collirio in macchina. Bravo. Fingi di essere normale per il mondo: è così che ti vogliono.
«Buongiorno, principino! Come va?»
«Male, pà. Non l’avevi capito?»
Il silenzio regnava in quella macchina, pesante, appiccicoso. Poi:
«Papà… perché non sei venuto alla mia festa di compleanno, la settimana scorsa?»
«Scusa. Papà era impegnato con il lavoro e non è potuto venire.»
Un’altra bugia. Mi avevano chiesto esplicitamente di non andare: le ultime volte era sempre finita male, tra litigi e tutto il resto.
«Sai una cosa, Giulio? Non farti più vedere. Sei capace solo di mettere tristezza alla gente, di buttare tutti giù. Fai l’uomo e smettila di piangerti addosso. Non ce la faccio più!»
Così era finita, l’ultima volta.
Io non riesco ad essere uomo in questo mondo. Fingere che vada sempre tutto bene, reprimere i miei sentimenti: continuare così mi ammazzerà, tanto vale che la finisca io. Sono solo imbarazzante per il mio genere. Non rispetto lo standard, non rispetto il vero uomo.

