Com’è nata la smiley face e come viene percepita dal nostro occhio

di Matteo Tezza

Harvey Ball, classe 1921, è stato un graphic designer, imprenditore e un militare statunitense. Nato a Worcester, nel Massachusetts, dove studiò belle arti alla Worcester art museum school, partecipò alla seconda guerra mondiale e poi continuò la sua carriera militare fino al 1973, ottenendo il grado di Generale di Brigata.

Il signor Ball, però, non divenne famoso per la sua carriera militare, bensì per la sua creazione tanto semplice quanto originale.

Negli anni direttamente successivi al conflitto mondiale, Harvey fondò nel 1959 la Harvey Ball Art & Advertising, la propria azienda pubblicitaria. Nel 1963 arrivò un’importante commissione dalla State Mutual life insurance, volta ad alzare il morale dei dipendenti, diminuito dopo che l’azienda era stata acquisita da una compagnia più grande. Joy Young, assistente direttore delle vendite e marketing, chiese ad Harvey di realizzare bottoni, cartoline e poster con sopra un sorriso. Harvey vi aggiunse due occhi, creando quindi la smiley face. Per farlo impiegò solamente 10 minuti, e non cercò mai di registrare il marchio.

Lo smile ebbe subito successo e cominciò a fare il giro del mondo. Fino a quando arrivò nelle mani di Franklin Loufrani, giornalista e copywriter che nel 1971 creò una campagna di positività nel giornale in cui lavorava, il France Soir (che ha chiuso nel 2019), contrassegnando con una faccina sorridente gli articoli positivi e buoni. Il 1° gennaio del 1972 registrò il marchio, dandogli il nome ufficiale di “Smiley”.

Oggi la smiley face è un simbolo universale di felicità, senza cui probabilmente non avremo le emoticon, mezzo di comunicazione ormai diffusissimo tra le persone.

Ma perché in due punti neri e una linea curva vediamo una faccia sorridente? Come funziona? La risposta si trova nella “pareidolia”, una tendenza istintiva che porta l’essere umano a ricondurre strutture disordinare o molto semplici a forme a lui familiari, come ad esempio le forme di oggetti comuni o di animali nelle nuvole o nelle costellazioni, le facce nelle case o, appunto, nello smile. Questo fenomeno pare essersi sviluppato dalla necessità dell’uomo di riconoscere una situazione di pericolo – come un predatore mimetizzato nella vegetazione – anche con pochi indizi, per poter agire un sistema di difesa

Nella società di oggi questi istinti di sopravvivenza non sono più necessari ma ci permettono di apprezzare il lavoro di Harvey e il suo tentativo di elevare il morale. Proprio lui ha proposto la Giornata mondiale del sorriso, che è stata ufficialmente istituita nel 1999 e che cade il primo venerdì di ottobre.

Proviamo anche noi, non solo in occasione del World smile day ma anche negli altri giorni dell’anno a seguire l’invito del signor Ball: “Do an act of kindness. Help one persone smile”. Gli effetti sull’umore di chi ci circonda saranno sorprendenti!

Di Matteo Tezza

Curioso come non mai, sono sempre in mezzo a qualcosa, infatti vengo chiamato prezzemolo

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