Abbiamo tutti un luogo sicuro? Una casa?
di Matteo Tezza

Ho voglia di tornare a casa. È un pensiero che nell’ultimo periodo mi salta spesso in mente… Non in senso letterale, non è che da un momento all’altro come un pop up appare una finestra nella mia testa che dice: “Voglio tornare a Casa”, ma è una sensazione. 
Non so quando sia iniziata, considerato che la casa in cui abito ha iniziato a starmi stretta. E infatti, anche se torno a casa, non cambia nulla, sto uguale se non peggio. 
Che “casa” sto cercando allora? È un luogo o una persona? O più persone? O un’attività? O un oggetto? 
Forse per me essere a casa è stare con determinate persone… ma non può essere solo quello, perché anch’io voglio stare da solo ogni tanto.
“Casa” deve essere qualcosa o qualcuno di cui non puoi fare a meno, che quando stai male diventa rifugio dove nascondersi, esserci dentro, da “vivere”.
Dunque io “la mia casa” l’ho trovata? 
Se non l’ho trovata, la devo cercare oppure è semplicemente davanti a me e devo ancora notarla e basta? So già, anche se ancora inconsciamente, da cosa è rappresentata o non la conosco ancora?
Ho voglia di “casa” e non come la desiderano i bambini: loro sono sempre spensierati, pur avendo momenti tristi, vivono tutto con una leggerezza maggiore. Forse quella dei bambini è le beata ignoranza o la grande ingenuità: fortunati quelli che da grandi non la perdono.
Perché il problema non è che non so quale sia la mia casa, ma è che mi sono accorto che esiste. È come quando perdiamo le chiavi o il portafoglio: solo in quel momento diventa un problema, perché ne realizziamo la portata, il senso. E se provassi a fare così? Dimentico tutto il reale confuso e sperimentato e fingo di avere già una casa come la intendo io? No, so benissimo che non funzionerebbe, perché fingere di avere una cosa non la farà apparire né la renderà più autentica; e quando ne avessi bisogno, lei non assolverebbe alla sua funzione protettiva.
Potrei fingere di non aver mai perso le chiavi della mia casa, per illudermi di possederla già… Ma a quel punto solo l’immaginazione potrebbe aiutarmi; sfondare la porta non è educato.
Dunque, ammetto, devo per forza cercare “quella casa”. 
Probabilmente assomiglia a una casa impossibile, un progetto irrealizzabile, che farebbe arrabbiare anche il più controllato degli ingegneri: tutta colpa di un architetto che ha fantasticato un po’ troppo, direbbe qualcuno.
O semplicemente devo agire e cominciare a cercarla. 
Perché? Perché sento il bisogno di trasferirmici.
Chi mi dice se magari un giorno non arriverà un amico che me ne indicherà una tra le tante, quella che persino lui stava cercando? E allora diventerà la mia casa con due coinquilini. 
Chissà. 
Intanto però io mi muovo. 

Di Matteo Tezza

Curioso come non mai, sono sempre in mezzo a qualcosa, infatti vengo chiamato prezzemolo

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