Lui rimase lì, fermo, incerto tra la ribellione e l’attesa. 

di Emma Malavasi

Del gioco folle e della danza macabra dell’esistenza corporea sopravvive sempre qualcosa: il ricordo. 
Un ricordo lucido, estrapolato da una mente razionale in grado di mettere in ordine le immagini e trovarne una chiave di lettura. 

Eccone uno:

Un treno affollato messo in muto. 
Quel tasto che si è soliti premere per evitare disagi in mezzo alla folla viene premuto dai controllori stessi, i quali interrompono la quiete pubblica con un breve: “buonasera!”. 
Poi, di nuovo silenzio. 
Tutti avevano già capito. 

Come cani ben addestrati, uno dopo l’altro, i passeggeri estraggono il biglietto per essere controllati, e chi non sa ascoltare copia i movimenti altrui. 
Tutto nella norma. 
Le orecchie si tappano nuovamente. Ripartiti. 
I passeggeri scompaiono nell’angosciosa concessione dell’essere: alcuni dietro al telefono, altri dietro un libro, altri ancora dietro al nulla, immersi nel paesaggio che sfugge in un battito di ciglia.

Una ragazza dallo sguardo perso appoggia la testa sul vetro freddo, una lacrima scende dal suo dolce viso. 
Prima una, poi un’altra, fino a creare un ruscello che scorre silenziosamente lungo le gote ormai rosse della viaggiatrice del sedile 16C. 

Probabilmente stava vivendo sulla sua pelle la sensazione che si prova nel momento della morte degli amanti, la fine della scintilla. 
Continuava a immaginarsi la scena accaduta poco prima, mentre un dolore in mezzo al petto la lacerava lentamente.

Una volta arrivato il treno che li avrebbe separati, la coppia si salutò con un bacio che sembrava essere il primo. 
Lei salì, insicura e devastata, senza dire una parola. 
Lui rimase lì, fermo, incerto tra la ribellione e l’attesa. 
Voleva andare da lei, salire su quel treno e iniziare quella vita insieme di cui parlavano sempre quando erano sul divano, ma rimase pietrificato a guardare i vagoni sparire uno dopo l’altro sotto il suo naso. 

Capì che forse era ora di tornare nel suo appartamento e così si incamminò a testa bassa. 
Una luce tremolante ostruiva la vista al sottopassaggio all’uscita della stazione, accompagnando la fine della giornata. 

Si accese una sigaretta: attraverso il fumo e la nebbia scorgeva lo scintillio colorato delle insegne LED dall’altra parte della strada. 

Perché sembra tutto così grigio adesso?
Perché il tribunale dei sentimenti ci ha condannato a questa atroce sentenza?

La realtà grigia e oppressiva si riversò su di lui con ancora più forza. 
La sigaretta tra le sue dita si spense.   
La tristezza e il senso di perdita lo avvolsero come un mantello pesante. 
Raggiunse il suo appartamento, ma il pensiero di quella scena con la ragazza che ama lo tormentava, e ogni passo che avevano fatto insieme sembrava ora un passo verso l’oblio.
L’immagine della loro separazione, dei vagoni del treno che sparivano, lo perseguitava come un’ombra costante.

Il ricordo non è solamente una semplice traccia delle informazioni nel cervello.
Esso rappresenta un insieme strutturato di esperienze e sensazioni che il nostro cervello conserva, gradevole o doloroso che sia. 
La mente funge da amanuense e racchiude tutto nel suo archivio.  

Di Emma Malavasi

Descrivo specchi che non riflettono.

1 commento su “IL TRIBUNALE DEI SENTIMENTI”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Scopri di più da

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere