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di Alessia Bruno

La storia di un’arte nata per dare voce a chi non veniva ascoltato. Dove ogni movimento diventa memoria, appartenenza e affermazione di sé.

Il Voguing non è solo una danza, ma è un vero atto di resistenza combattuto con la bellezza dalle persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+.

Nasce nella New York degli anni ’60, in un tempo in cui le persone nere e latine della comunità gay erano emarginate e non trovavano posto in una società che rifiutava di riconoscerle. Molti giovani transessuali o omosessuali venivano cacciati di casa, si ritrovavano per strada, e trovare un lavoro era quasi impossibile. Erano considerati “errori” da una società che negava loro persino l’esistenza, costantemente a rischio di violenza, rifiutati ed emarginati da tutti.

Talvolta, però, capitava di entrare in scantinati nascosti e ritrovare una comunità unita, in cui ci si riconosceva. In quel luogo nessuno era emarginato, o “sbagliato”: ognuno era libero di esprimersi e liberare i propri sentimenti attraverso mosse di danza precise e liberatorie. Si poteva essere chiunque si desiderasse: una regina, una top model, un’icona. In questi spazi, chiamati ballroom, le persone discriminate creavano una sorta di mondo parallelo, dove ciò che fuori veniva disprezzato, lì dentro veniva celebrato con orgoglio.

È proprio in queste ballroom che nasce il Voguing, che si ispirava sia alle pose delle modelle fotografate nella rivista Vogue, sia ai geroglifici dell’antico Egitto e agli esercizi ginnici. I voguers (i ballerini) sceglievano di impersonare figure che erano spesso una parodia della femminilità bianca, esaltando gli ideali di bellezza, sensualità e prestigio sociale.

Nelle ballroom avvenivano scontri, duelli e battaglie fatte di sguardi, di pose taglienti come lame e di movimenti fluidi e potenti. Si combatteva senza mai toccarsi, senza aggredirsi, perché quando la violenza fisica è una minaccia quotidiana, si impara a trasformare il proprio corpo in un linguaggio, in un’arma di bellezza e resistenza pura. Era inoltre un modo per reagire al dramma dell’AIDS, che colpiva duramente la comunità e molte delle persone che vi partecipavano.

Ed è proprio qui che si svilupparono le House, veri e propri collettivi, simili a famiglie, con una Mother (o talvolta un Father), che aveva il compito di prendersi cura dei propri “figli”. Questi ultimi, in cambio, si impegnavano a eccellere nelle varie categorie alle ballroom, per portare onore e prestigio alla propria House. Appartenere a una House significava ricevere un nuovo cognome, quello della famiglia scelta: un’identità che non veniva negata, ma onorata con orgoglio durante le competizioni.

Il Voguing rimase per molti anni una cultura invisibile agli occhi del mondo, nascosta nei sotterranei di New York, in continua evoluzione. Poi, nel 1990, Madonna pubblicò il brano “Vogue”, ispirato alle pose e ai gesti delle ballroom. Quest’arte entrò quindi nelle case di milioni di persone, mettendo sotto i riflettori un mondo che la società aveva sempre cercato di ignorare. E così, ciò che era nato come un grido silenzioso di resistenza diventò una forma d’arte riconosciuta, capace di ispirare, influenzare e continuare a dare voce a generazioni che ancora oggi trovano nel Voguing un modo per raccontarsi, per liberarsi e per esistere con orgoglio.

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