Illustrazione di Greta Vaccari
Gli occhi della verità non sono i nostri e questa ne è la dimostrazione
di Alessandro Antinori
Stavo vagando in una valle da più di due giorni senza meta. Non so cosa accadde, so che prima di perdermi ero con un amico a fare una normalissima passeggiata in montagna. Dopo una pausa, mi addormentai e, all’improvviso, mi risvegliai in un luogo completamente diverso. Mentre cercavo di recuperare la mia ragione per capire come uscire da quella valle infinita, mi trovai seduto su una radice di un maestoso pino quando il mio sguardo cadde su una strana lastra di roccia posizionata sopra un sentiero. Su di essa era incisa una formula famosa, che mi era già familiare:
“Lasciate ogni speranza, o voi che entrate”.
Quel messaggio mi paralizzò; sentivo ogni singola goccia di sudore scendere dalla mia fronte e ogni zanzara ronzarmi attorno. Il tempo sembrava andare a rallentatore, eppure le porte dell’Inferno che immaginavo erano completamente diverse da quelle che stavo per affrontare.
Ormai non avevo nulla da perdere: la fame e la stanchezza avevano preso il sopravvento. Così decisi di imboccare quel sentiero.
Passarono altri due giorni prima di imbattermi in una prima forma di civilizzazione: ero salvo! Mi avventai sulle prime cose commestibili e bevvi anche l’acqua delle pozzanghere. Un sollievo, che però durò ben poco. Mentre mi ingozzavo di frutta matura e dolcissima, verdure fresche e saporite, l’aria si faceva sempre più pesante e rarefatta. Le palpebre iniziavano a pesare e, di nuovo, caddi in un sonno profondo.
Quando mi svegliai, frastornato ma sazio, la mia tranquillità venne subito interrotta: un gruppo di indigeni mi circondava, muniti di armature di stoffa e coperti di scritte mai viste. Ci fu un silenzio quasi imbarazzante, finché una voce profonda e agghiacciante si fece sentire: era il capo della tribù degli Inuma, il più vecchio e saggio di loro, che mi invitava nella loro tribù. Dopo aver mangiato dell’ottimo pollo, sentii la mia gola andare in fiamme e pensai subito a un’ipotesi di avvelenamento. In realtà, il saggio mi spiegò che non era nulla di cui preoccuparsi: il pollo era condito con una salsa prodotta con un frutto irritante per la gola. Iniziai a interrogarmi su quali altre bizzarre usanze potessero esserci in quel posto strano.
Quello che mi fu raccontato, e che ora vi racconto, sono atrocità e torture non adatte ai deboli di stomaco. Gli Inuma infilano la testa in un forno come trattamento di bellezza per definire i capelli; due volte l’anno compiono un rito di purificazione della bocca infilando trapani per bucare i denti e staccandoli con pinze dolorosissime; tre volte a settimana – i più credenti anche sei – si recano in capanne per purificare il corpo sollevando grandi e pesanti rocce; una volta alla settimana si rovesciano sul corpo cera bollente, bruciando così lo strato superiore della pelle; e infine, durante tutto l’anno, è frequente trovare indigeni che si sottopongono volontariamente a torture, quali il digiuno come segno di redenzione…
Ma ehi, sveglia!
Lettore, sì, parlo con te.
Questa è la realtà. Tutti noi siamo facilmente condizionabili: questa è la vita che viviamo ogni giorno, descritta solo in modo diverso. Troppe volte ci facciamo ingannare e ragioniamo attraverso le descrizioni di altri, senza seguire un nostro ragionamento. La nostra visione è limitata, questo perché tutti noi viviamo con una visiera davanti agli occhi; dovremmo sostituire i nostri occhi con quelli di altri per non commettere questo errore. Fai l’anagramma di “Inuma” e capirai da solo il gioco, rileggendo il testo.
Finalmente è tornato a scrivere il mio scrittore preferito.
Articolo che non delude le aspettative e le surclassa.
Si deve essere allenato in quest’estate perché migliorato molto.
Consiglio a tutti la lettura di questo articolo che con il colpo di scena finale lascia tutti di stucco.